Buon compleanno, Soccermagazine! Nel moto incondizionato dei media…

Far parte del mondo del giornalismo è un onore che spetterebbe a pochi. Lo riconosciamo.
Gestire l’informazione, la novità, toccarla con mano prima degli altri è come un potere affascinante che rischia di minare costantemente la coscienza umana, tenuta salda dal fuoco sacro tipico di chi porta avanti una missione, un po’ come quello che anima il nostro sport preferito. Un compito importante, insomma, che ognuno deve essere libero di assegnarsi in piena autonomia; perché le responsabilità potrebbero anche rivelarsi più grandi delle soddisfazioni, come se il giornalista fosse destinato a diventare una macchina perfetta che non deve sbagliare mai.

Il logo di Soccermagazine, scelto tre anni fa insieme ai lettori
Il logo di Soccermagazine, scelto tre anni fa insieme ai lettori

Chi ha voce per parlare e penna per scrivere non sempre ha il diritto di essere ascoltato. Chi si ritrova questo privilegio dovrebbe avere dunque l’onestà intellettuale di stringere un patto d’umiltà col diavolo; altrimenti accetta il ruolo di tiranno e la connivenza che ne consegue.
Oggi il giornalista medio ha come una propensione naturale all’inquietudine perenne: piuttosto che far convergere tutti le proprie opinioni verso l’unica verità oggettiva, ognuno fa valere esclusivamente la propria tesi, spesso al solo scopo di smontare quella altrui, abusando avidamente quanto pervicacemente della sua posizione. Un fenomeno semplicemente inveterato, non atavico, sviluppatosi sempre più su larga scala facendo leva sul qualunquismo dilagante delle ultime generazioni. Se non lo ammettessimo qui e adesso sposeremmo noi in primis la piena ipocrisia.
Sono quattro anni che siamo in questo ambiente e nonostante tutto continuiamo ad amarlo in maniera viscerale. Il mondo del giornalismo a volte sembra ripudiarci, bollandoci come superficiali pensando che l’abbiamo sopravvalutato e non ne abbiamo colto i difetti. Il punto è che ci piacciono anche quelli. Ci intrigano perché troviamo stuzzicante l’utopia di correggerli. Non abbiamo tempo né voglia per rivelare dubbi o esitazioni e se qualcuno lo facesse rischierebbe ancora di risultare più realista del re.
È curioso constatare come, pur essendo cambiati negli anni, siamo rimasti sempre noi: siamo cresciuti, diventati più maturi, ma non abbiamo ancora tagliato quel cordone ombelicale che ci lega alla madre delle motivazioni che ci hanno proiettati qui dentro, l’entusiasmo che ci ricorda sempre da dove veniamo e fortifica la nostra identità. Forse, inconsciamente ci siamo persino dimenticati della possibilità di sciogliere quel sigillo, distratti dal fuoco sacro che finora non l’ha minimamente intaccato.

 

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