Esclusiva-Inacio Piá: “Ho pianto al mio addio. Ho capito tardi il mio errore a Napoli”

E’ un Inacio Piá felice quello che parla dall’altro capo della cornetta, che pensa poco ai rimpianti e agli alibi (che pure ci sono) e tanto alle gioie e alle emozioni vissute in circa vent’anni di esperienza italiana sui campi di calcio.

Piá - Fonte immagine: Steindy (Wikipedia)
Piá – Fonte immagine: Steindy (Wikipedia)
Domenica, infatti, l’ex Napoli e Torino ha annunciato il suo ritiro, giocando i suoi ultimi 90’ con la maglia dell’Adrense, squadra del bresciano  militante nell’Eccellenza lombarda. Ecco cosa ha detto in esclusiva ai microfoni di Soccermagazine:

Inacio, quali sono le prime sensazioni dopo questo ritiro? Sei più triste o hai capito che ogni cosa ha il suo tempo?

Sì, diciamo che la sensazione più brutta è quella di non vedere più lo spogliatoio e di non avere più l’attenzione a gara e allenamenti. Non è semplice, ma ormai erano un paio di anni che andavo avanti con il ginocchio che non mi permetteva di dare il 100% e di fare quello che so fare.
Non è bello smettere, ma ero già preparato.

La cosa più strana qual è? Il fatto di svegliarsi lunedì è dire: “Non devo più andare ad allenarmi?”

Sicuramente la cosa più strana è avvenuta domenica prima della partita. Perché li mi è subentrato un magone o un po’ di tristezza e lì diciamo che mi sono anche lasciato andare in un pianto di commozione, perché mi ha dato veramente tanto questo sport e mi dispiaceva veramente tanto.

Avevi già deciso da tempo?

Sì, già ne avevo parlato a casa con mia moglie e i miei bambini e avevo deciso che quest’anno sarebbe stato meglio smettere. Se non ti diverti più è meglio smettere, piuttosto che soffrire.

Rimarrai nel calcio, vista la tua collaborazione con Gaetano Fedele e la scuola calcio che hai a Monza?

Sì, esatto. Già da un annetto avevo questa collaborazione con Gaetano Fedele, seppur non ufficiale.
Questa settimana mi iscriverò all’albo degli agenti e lo diventerò anch’io, collaborando con lui. E’ sempre stato un mestiere che mi ha affascinato questo, anche solo per il fatto di parlare con presidenti e direttori sportivi.

Facciamo un po’ di salti nel passato. Parlaci del tuo primo gol in A a 19 anni contro la Fiorentina.

Era veramente un sogno. Direttamente dalla Primavera andare in prima squadra, giocare e fare gol, confrontarsi con tutti quei campioni… Capivo veramente che tutti i sacrifici che avevo fatto non erano stati vani.

Come è stato lasciare il Brasile a 14 anni per venire in Italia?

Difficile, difficile. Vivevamo alla Casa del Giovane, il convitto dell’Atalanta. Vivendo con i preti, giustamente, non ti puoi permettere più di fare più di tanto. Immagina un ragazzino che veniva da un altro mondo, con cultura e abitudini diverse. Io e mio fratello Joelson (anch’egli arrivato in Serie A, ndr) tornavamo a casa due mesi l’anno durante l’estate.
I primi anni volevo scappare per il freddo, all’inizio non era per niente bella questa situazione, specie perché venivo da un Paese come il Brasile, in cui anche d’inverno il clima è molto caldo.
Prima di venire qua giocavo nel Santos. Il mio procuratore conosceva Nicola Radici, il ds dell’epoca dell’Atalanta. Il calcio in Italia a quell’epoca era il top nel mondo, seguitissimo anche in Brasile. Ho accettato subito di venire con mio fratello.

Di tuo fratello hai detto che è uno dei più forti con cui hai giocato…

Lo confermo, a livello di prime punte è uno di quelli con più qualità assieme a cui ho giocato. Abbiamo fatto un anno assieme al Pergocrema e mi sono reso conto che è veramente veramente forte. Il fisco lo aiuta e gioca ancora, in Serie D.

Parliamo della parentesi di Napoli. In azzurro hai trovato molta concorrenza, forse sembrava che saresti potuto esplodere in modo più importante.

Sono d’accordo. Avevo tanta tanta qualità, ma mi sono quasi accontentato. Dentro di me dicevo: “Le qualità le ho, mi alleno a due all’ora e tanto la domenica riesco a fare la differenza ugualmente”. Invece non è così, se non ti alleni bene la domenica fai schifo. E questo, purtroppo, l’ho capito troppo tardi. Sono cose che si capiscono con l’età.
Un altro aspetto sono gli infortuni: ogni anno saltavo tantissime partite e non sono mai riuscito a dare la continuità giusta di cui ha bisogno un calciatore.
Di Napoli uno dei ricordi più belli è quello del Trofeo Moretti in cui ero stato miglior giocatore. In azzurro ho anche il record di aver segnato in tutte le categorie e anche in Europa.

Sull’esperienza al Toro che ricordo hai?

Siamo riusciti ad arrivare a fare la finale playoff col Brescia, che abbiamo perso, dopo che a gennaio eravamo arrivati in tanti a gennaio. E’ stata una bella stagione.

Chiudiamo con un pensiero sul tuo bambino Samuele, giovane calciatore promettentissimo e che gioca per l’Atalanta.

Io non sono una persona che dice una cosa per un’altra. Per sentito dire, parlando anche con i vari addetti ai lavori delle squadre contro cui gioca, moltissimi dicono che è uno dei più bravi 2009 che ci sono in giro. La cosa che mi interessa di più è che si diverta tanto, che vada volentieri e che si tenga lontano da tante cosa brutte che ci sono in giro.
Da qui a dire che diventerà o non diventerà ci sono troppi fattori che devono combaciare, ha pur sempre 9 anni.
Noi viviamo a Bergamo e sono felicissimo per lui e per la sua crescita da ragazzo, al di là del fatto che diventerà qualcuno o no.

Ringraziamo Inacio Piá per la disponibilità e simpatia, augurandogli ogni fortuna nel corso della propria vita lontano (ma non troppo, a quanto pare) dai campi di calcio

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