Copa America: Clasico rioplatense, l’eterno scontro tra Argentina e Uruguay

Dalle sponde opposte del Rio De La Plata due sorellastre incompatibili, Argentina e Uruguay, si guardano da sempre con disprezzo: dopo aver combattuto assieme per l’indipendenza e contro nelle guerre civili ritagliandosi uno spazio importante nella storia dell’umanità, entrambe hanno deciso di segnare in maniera indelebile anche la storia dello sport più bello del mondo.

Nasazzi e Monti, i capitani della finale del 1928 Fonte: the Netherlands Olympic Committee - http://www.la84foundation.org/6oic/OfficialReports/1928/1928.pdf
Nasazzi e Monti, i capitani della finale del 1928
Fonte: the Netherlands Olympic Committee – http://www.la84foundation.org/6oic/OfficialReports/1928/1928.pdf

Una rivalità così nel gioco del calcio probabilmente non esiste: Argentina e Uruguay da oltre un secolo di avventure sportive si contendono lo scettro di padroni del Sudamerica regalando oltre a partite che hanno fatto la storia del gioco anche talenti, giocate e aneddoti destinati ad essere ricordati in eterno.

È vero gli argentini non vanno d’accordo con nessuno nel loro continente soprattutto se si parla di calcio, ma con gli uruguayi la situazione è ulteriormente delicata a causa delle tante, troppe partite decisive giocate nel corso degli anni. Per loro i charrua sono solo scomodi vicini, eredi solamente degli indigeni pre colombiani e sostanzialmente un popolo con cui possono scherzare politicamente e calcisticamente quando vogliono.

Non della stessa opinione ovviamente dalla sponda orientale del Rio de La Plata dove possono vantare lo stesso numero di Mondiali vinti (in Uruguay considerano addirittura 4 i titoli iridati contando le Olimpiadi del ’24 e del ’28) e una Copa America in più all’interno di un palmares che mette la Celeste in una posizione privilegiata all’interno della storia del calcio.

Umanisti del calcio, eleganti interpreti del gioco esaltati dalla fantasia e dalla qualità: gli argentini sono artisti del pallone che con la palla ci fanno letteralmente l’amore (così amano definirsi), il calcio argentino è una fuga dalla povertà, è un viaggio verso la passione. Da sempre il fútbol apprezza i campioni di terra pampera, i figli di un’Argentina che anche nei momenti più bui della propria esistenza è riuscita a trovare un barlume di speranza guardando le stelle del proprio calcio brillare più di tutte.

Gli uruguayani invece sono i fieri discendenti dei charrua, la popolazione indigena autoctona che ancora viene rimembrata nei racconti di Diego Bracco. Gli uruguayi hanno avuto da madre natura meno doti tecniche, meno talento: le forti immigrazioni, una politica avanguardista e gli insegnamenti degli inglesi hanno provato a sopperire a tale mancanza ma la vera forza di questa nazione è l’ossessivo attaccamento alla maglia. Più di una seconda pelle, più di una ragione di vita: rappresentare l’Uruguay è la massima aspirazione da quelle parti e se nel campo non lasci ogni lacrima di sudore in onore di quella camiseta celeste tanto uruguayo non lo sei. “Orientales la patria o la tumba” grida forte l’inno nazionale ricordando la posizione geografica della nazione rispetto al Rio de La Plata e l’ideale imprescindibile del popolo charrua.

Una vita a tentare di dimostrare di essere i migliori per gli argentini, una vita per dimostrare al mondo che quel minuscolo spicchio di Sudamerica è la realtà base del calcio quella degli uruguayi.

Due visioni della vita così diverse, contrastanti e incompatibili eppure separate da un solo fiume. Clásico rioplatense amano chiamarlo in Sudamerica, il derby del Rio de La Plata. Tante tantissime volte queste squadre si sono fronteggiate, spesso anche in partite decisive che hanno segnato la storia del gioco. A partire dal 1910, anno della prima, seppur non ufficiale Copa America, quando l’Argentina di Juan Enrique Hayes si impose per 3-1 nella gara decisiva; oppure nella prima reale edizione della Copa, quella del 1916 dove arrivò il primo grande smacco dell’Uruguay alle grandi del Sudamerica: al Colon y Alsina di Avellaneda, prima storica casa del Racing, lo 0-0 finale consentì alla Celeste di vincere l’allora “Campeonato Sudamericano de Football” trascinata dal leggendario Isabelino Gradin, calciatore e quattrocentista che divenne simbolo dello sport sudamericano degli anni ’20.

Crudele fu il verdetto del destino che volle far incontrare queste due squadre nel Clásico rioplatense più famoso di sempre, quello del 1930 valido per la finale dei Mondiali uruguayi. Con mille polemiche, palloni cambiati e le mitiche narrazioni di performance e discorsi di Nasazzi l’Uruguay si consegnò alla storia come primo campione del Mondo appena due anni dopo la finale olimpica vinta sempre contro l’Argentina grazie ai gol di Figueroa e Hector Scarone, ex calciatore anche in Italia con le maglie di Inter e Palermo.

Oggi si ritrovano faccia a faccia in una partita che ha sempre quel sapore epico che piace tanto ai fan del fútbol: il rimontone paraguayano dell’esordio ha rovinato la reputazione di stra favorita dell’Albiceleste che adesso dovrà dimostrare la sua contro una squadra che con le piccole solitamente stenta (vedi il successo di misura contro la Giamaica) ma nelle partite decisive tira fuori il meglio di sé.

Il bello del calcio è questo: Argentina e Uruguay di fronte in una partita che è già un bivio per la Copa America di entrambe, la storia del Sudamerica che si guarda in faccia ancora una volta pronta a scrivere l’ennesima pagina del derby tra nazionali tra i più belli al mondo…bienvenidos al Clásico rioplatense!

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