Svezia, Ibrahimovic è sicuro: “Voglio il Mondiale”

Ibrahimovic ha ricevuto il Pallone d’Oro svedese per l’ottava volta. Alla consegna da parte di Aftonbladet, il principale quotidiano svedese, l’attaccante ha rilasciato al quotidiano stesso un’ intervista, tradotta poi in italiano dalla Gazzetta dello Sport. Ecco la lunga intervista.

Foto di Илья Хохлов - Wikipedia
Foto di Илья Хохлов – Wikipedia
In effetti è in gran forma e lo sta dimostrando sia col Psg sia con la nazionale.
“Sì, mi sento bene, molto bene. Ma come ho già detto, voglio sempre di più. Ogni volta che gioco l’avversario più difficile per me sono io stesso. Voglio sempre fare meglio di quello che ho fatto prima. Ogni stagione, ogni giorno è così”.
A Bruxelles, quando ha segnato 4 gol, i tifosi dell’Anderlecht le hanno dedicato una standing ovation: come l’ha vissuta?
“Mi è sembrato un po’ strano, perché di solito non si fa così. Ho pensato: ‘Ma mi sta succedendo davvero questo?’. Così quando al terzo gol ho visto che i sostenitori avversari mi applaudivano ho voluto farlo anch’io, per ringraziarli e vivere fino in fondo quel momento. Forse non mi succederà mai più, ma almeno una volta mi è capitato e l’ho vissuto”.
Ora vi aspettano i playoff col Portogallo: pronto?
“Sì, mi sento bene anche in nazionale, carico e motivato. Voglio anche battere il record di gol con la Svezia per diventare capocannoniere di tutti i tempi con questa maglia. Sono anche certe piccole cose che mi aiutano a trovare sempre nuove motivazioni, a non fermarmi”.
Come ci arrivate?
“Queste qualificazioni mondiali non sono state facili, abbiamo avuto partite dure, ma questo ci ha stimolato. Poi il nuovo stadio (la Friend’s Arena a Solna, ndr ), il fatto che sono capitano, che devo portare la mia squadra ai Mondiali… Sono tutte cose che mi caricano. Adesso poi ho anche l’esperienza, so cosa mi serve per accendermi”.
Che cosa sa del Portogallo? Si parla molto di Zlatan contro Cristiano Ronaldo.
“Certo. Siamo al playoff e abbiamo fatto molto bene finora. Il Portogallo, con la squadra e le individualità che ha, naturalmente è favorito. Ma noi siamo arrivati secondi in un girone con la Germania, che ritengo la squadra più forte d’Europa, mentre loro sono arrivati secondi in un girone che dovevano vincere. Quindi penso che meritiamo di più noi di andare in Brasile. Come nazionale sono più forti. Ma se riusciamo a minimizzare gli errori possiamo farcela. Sarà difficile, ed è giusto che sia così perché deve essere difficile qualificarsi per i Mondiali”.
Sente il peso della responsabilità nei confronti della nazionale?
No, mi stimola soltanto. Mi piace la responsabilità di dover fare sempre bene, in campo e fuori. Non è una cosa negativa, tutt’altro”.
Responsabilità che ha anche al Paris Saint Germain: ma è vero che l’estate scorsa non era sicuro di restare?
“Sì, è vero. A giugno non sapevo cosa sarebbe successo. Anche perché ogni volta che dico “rimango” di solito succede il contrario. Ma poi ho incontrato il presidente Nasser Al-Khelaifi, e mi ha detto che sono il giocatore più importante per il progetto Psg: “Sei tu che ci devi portare dove sogniamo di arrivare”. È stata una cosa bella da sentire, una bella conferma. E allora ci siamo messi d’accordo: ho prolungato di un anno e ora non potrei essere più felice che a Parigi”.
Perché?
“Giorno dopo giorno ci sentiamo sempre più forti. E tutti parlano di noi, gli avversari hanno un rispetto diverso nei nostri confronti, cresce l’interesse dei media e aumentano anche gli sponsor… Siamo davvero una grande squadra, adesso. O, meglio, lo stiamo diventando. Perché per essere davvero una grande squadra bisogna vincere: non soltanto il campionato, come abbiamo già fatto, ma tutto. Ci stiamo lavorando, vogliamo arrivarci “.
La prima stagione però è stata dura.
“Venivo dal Milan, che è un grandissimo club, con una lunga tradizione, Milanello, San Siro, i suoi tifosi e tutto il resto. Come parla la gente, come si comporta, perfino come cammina: tutto è grande e a un livello internazionale, al Milan. Perciò passare al PSG che non aveva ancora lo stesso splendore non è stato facile, più che altro a livello mentale”.
Aveva dei dubbi, si faceva delle domande?
“Con tutto il rispetto per il campionato francese, non lo conoscevo bene e mi domandavo: “Questo cosa significa per me, per la mia carriera?”. È stato un po’ un rischio andare a Parigi, ma dentro di me pensavo: “Il Psg è il futuro”. Ora so che ho fatto bene”.
Ora, dopo aver vinto il campionato, si sente più a casa?
“Non è stato facile. Faccio un esempio: l’anno scorso mi allenavo, poi arrivavo dopo tre giorni e le mie scarpe da gioco non erano state né pulite né sistemate. Ora non voglio dire che vinciamo il campionato perché qualcuno mi pulisce le scarpe, ma da dove venivo c’erano persone che si occupano di questo. Loro fanno il loro lavoro e io il mio. Ma ora va tutto meglio: prima erano in due a fare questo, ora credo che siano in sei, all’inizio non avevamo un cuoco, ora ce ne sono quattro. Questo è importante. Ho vinto 20 titoli con le mie squadre e non per caso: io so cosa ci vuole per vincere “.
E il futuro? Andrà a giocare negli Stati Uniti?
“Adesso parliamo di progetti, ma non amo farne troppi. Però un giorno, quando scadrà il mio contratto, mi piacerebbe giocare al di fuori dell’Europa, anche se non so dove”.
Non le piacerebbe una carriera dirigenziale, da direttore sportivo, magari al Milan?
“Ma, non lo so, vediamo. È un lavoro davvero duro, ho visto da vicino come ci si è consumato Leonardo. Si lavora sempre… Forse rimango nel mondo del calcio, forse no. Vedrò”.
Intanto sta diventando “giornalista”, con la sua nuova app “Zlatan unplugged”.
“Vero. Dopo dieci anni con voi ho imparato… Cercherò di diventare quel giornalista che non sono mai voluto diventare! Scherzi a parte, mi piace, è una cosa nuova, interessante, che crescerà sempre più grazie ai miei tifosi. Non mi piacciono questi blog in cui la gente scrive della propria vita privata. Chi se ne frega? A me non interessa e non credo che la mia quotidianità interessi alla gente. Nell’app invece cerco di scrivere per i miei tifosi, quando ho qualcosa di interessante da dire”.
Ma chi è davvero Zlatan? Spesso i suo compagni la descrivono come un ragazzo buonissimo, non duro come sembra. Ma a lei, dietro quella facciata, capita mai di sentirsi insicuro?
“Ma sì. Questa immagine di me si è creata all’inizio della mia carriera. Ero un ragazzo e non sempre i giornalisti capivano quando scherzavo e così la gente leggeva certe cose. Ma chi mi conosce sa che non sono così. Non sono un diva. Però all’inizio è stata davvero dura”.
Era anche molto giovane…
“Già, e non avevo nessuno intorno a me che sapesse gestire i giornalisti e certe cose. Ma ho imparato da solo, anche dai miei errori. Ora sto più attento, anche se ogni tanto mi concedo di parlare direttamente col cuore, quando me la sento. Invece con i compagni di squadra e i miei amici sono sempre me stesso”.
Crede di essere così amato, in Svezia ma anche fuori, perché è un uomo del popolo che ha fatto strada?
“Non lo so, può darsi, forse sì. Mi sono sempre detto che non importa dove gioco e se guadagno sempre di più, cerco sempre di rimanere me stesso. Se ci riesco, la gente mi rispetta per quello che sono, non per quello che ho”.

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Andrea Antoniacomi

Mi chiamo Antoniacomi Andrea, sono di Cortina d'Ampezzo ma sono nato a Pieve di Cadore il 23 febbraio del 1990. Diplomato presso l'istituto "Leonardo da Vinci" di Belluno con il voto di 80/100, dal 2011 studio a Milano presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, nel corso di scienze della comunicazione politica e sociale. Il mio sogno è di diventare un giornalista, prima pubblicista e poi professionista.

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