Alessandro Del Piero omaggia Gianni Agnelli, a 10 anni dalla scomparsa. La sua lettera a ”l’Avvocato”

Dieci anni fa si spegneva Gianni Agnelli, ”l’Avvocato”.

Presidente della Juventus dal 1947 al 1953. Dopo lasciò, ma solo formalmente; di fatto è sempre rimasto in prima linea al fianco della sua ”Vecchia Signora”.

Gianni AgnelliFoto di Wikipedia
Gianni Agnelli
Foto di Wikipedia

Tanti gli omaggi arrivati nella giornata di oggi, ma il più toccante è stato senz’altro quello di Alessandro Del Piero, pubblicato sul suo sito ufficiale alessandodelpiero.com:

 

 

“Sono passati dieci anni, ma a me sembrano molto meno. Sarà perché per me l’Avvocato è ancora un ricordo vicino, come se quel telefono –  che squillava così presto, di mattina – l’avessi appena messo giù, dopo aver finto di essere già sveglio, stropicciandomi ancora gli occhi.

Invece, sono già dieci anni. Ma quando le persone entrano così tanto nella testa e nel cuore, in fondo, non se ne vanno mai davvero. Eppure manca. Manca la sua eleganza, il suo stile, la sua passione, il suo gusto per il bello, in qualunque campo della vita pubblica e privata. Manca il suo amore per lo sport, per il calcio, per la sua Juventus, per la sua Ferrari, per le sue barche, per la sua Torino. Manca agli juventini, manca a tutti gli italiani. E manca a me, che ho avuto la fortuna e l’onore di fare un piccolo pezzo di strada con lui.
Come potrei dimenticare quel primo incontro… E’ legato a un ricordo particolarmente piacevole per me, ovvero la mia prima tripletta in serie A. Per me era tutto nuovo, avevo diciotto anni, appena inserito in prima squadra, aggregato dalla Primavera. Era la vigilia della partita contro il Parma. Non so se l’Avvocato mi conoscesse. O meglio, di certo mi conosceva perché era un grande intenditore di calcio e molto curioso – dunque si era informato anche del nuovo arrivo, che ero io – ma ovviamente riservò la sua confidenza ai giocatori che allora erano più affermati. Noi eravamo appena usciti dalla Coppa Uefa, ed eravamo anche stati contestati dai nostri tifosi, il Parma aveva invece vinto contro l’Ajax. Quella di Nevio Scala era la squadra del momento. L’Avvocato colse il clima difficile e forse anche un po’ di sfiducia che avevamo nelle nostre possibilità, ci rincuorò e ci disse che tutta quella differenza tra le nostre squadre, di cui anche i giornali parlavano, in realtà nei fatti non c’era. E portò proprio con sé un giornale, per stimolarci a dare il massimo, reagendo a quelle critiche. Il giorno dopo battemmo il Parma nettamente, e io segnai la mia prima tripletta con la maglia della Juve. Questo è stato il primo impatto con lui, con il suo carisma e con l’entusiasmo che sapeva trasmettere.
Pochi anni dopo mi diede quel soprannome che poi mi accompagnò per anni. Era il momento, diciamo così, del passaggio di consegne con Roberto Baggio alla Juventus. L’Avvocato da grande esperto e conoscitore dell’arte, aveva definito Baggio “Raffaello”, e paragonò me a “Pinturicchio”. All’inizio la mia reazione fu un po’ perplessa, ovvero… non sapevo chi fosse Pinturicchio. Poi mi sono informato e ho scoperto che era un grande pittore. Sono affezionato a quella definizione, perché sapevo con quale spirito l’Avvocato l’aveva detto, e perché mi ricorda una bella fase della mia carriera, gli esaltanti primi anni con la Juventus.
Le sue definizioni, le sue battute erano sempre taglienti, incisive. Ma le critiche non erano mai pesanti. Ricordo poi gli scambi di dichiarazioni con altri dirigenti, altri presidenti. L’Avvocato aveva il piacere della sana rivalità, ma rispettava e ammirava i suoi migliori avversari. Aveva il gusto per la competizione, e la curiosità della sfida.
Se mi volto indietro, adesso che sono distante, e che non sono più in bianconero, apprezzo ancora di più la fortuna che ho avuto nei miei quasi vent’anni a Torino: ho conosciuto le due persone che più di tutte hanno rappresentato e incarnato la Juventus, per sempre, ovvero Giampiero Boniperti che mi ha portato a Torino dal Padova e l’Avvocato, che mi ha onorato della sua stima e della sua considerazione.
La Juventus era la sua passione. Ne aveva tante, era affascinato della vita e dalle persone, dalle loro storie. Ma il calcio, e la Juve, lo attraevano in modo irrestistibile. Trasmetteva questa passione a chi gli stava intorno. Anche alla squadra, a noi. Amava la Juventus e i suoi campioni. Ed era amato dai suoi campioni. Come dalla gente comune.
Quello che è accaduto il giorno del suo funerale ne è la testimonianza. Ricordo che il giorno precedente la partita contro il Piacenza, la prima senza di lui, andammo a visitare la camera ardente, era impressionante il numero di persone che andarono a rendergli omaggio. Persone comuni: dal dirigente all’operaio. Mi colpì molto quella manifestazione di composto cordoglio, di rispetto, anche da parte di chi era lontano da lui e dal suo mondo.
Sono molto affezionato al gol che segnai in quella partita contro il Piacenza. Non arrivò a caso in quella giornata speciale. Fu un gol bello, spettacolare. Sono convinto che gli sarebbe piaciuto e dalla tribuna lo avrebbe applaudito.
In questi giorni mi è capitato di pensare a cosa mi avrebbe detto oggi. In fondo penso che mi avrebbe chiamato per consigliarmi qualche posto da vedere in Australia, lui che conosceva tutto il mondo, e amava tutto ciò che è bello.
Mi chiamerebbe al telefono, magari alle sei del mattino. Ma stavolta, qui a Sydney, mi troverebbe sveglio.
Alessandro”.
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Francesco Maiorino

Nasce a Nocera Inferiore ma vive a Sant'Egidio del Monte Albino, nel salernitano. Grande appassionato di sport e (fanta)calcio, realizza un piccolo sogno entrando a far parte dell'ambizioso progetto di questa testata.

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