L’importanza di chiamarsi Perrotta

Siamo la Roma è questa la scritta che troneggia nello spogliatoio giallorosso, prima di ogni partita. Tutto per ricordare la partita, quella contro la Juve, dove la Roma è rinata. Una frase detta nello spogliatoio che sintetizza ogni cosa. L’ennesima stagione, l’ennesimo progetto da cui la squadra è costretta a ripartire. Un team in evoluzione che, nel giro di pochi anni, ha cambiato tutto: rosa, proprietario e allenatori. Una consapevolezza, però, rimane: essere la Roma, con i suoi pro, i suoi contro, pregi e difetti, all’interno di una stagione che scandisce, grazie ai risultati, il buono o il cattivo operato di un collettivo. Il ciclo Andreazzoli parla a suon di numeri, 13 punti nelle ultime 6 partite. Dopo un passo falso, al debutto del nuovo tecnico, contro la Samp, la squadra ha dimostrato di voler riprendere in mano una stagione che, a dirla tutta, sembrava compromessa. Quei sette punti dall’Europa, adesso, non sono un’utopia. Certo, è difficile, ma non impossibile.

Fonte: Presidenza della Repubblica
Fonte: Presidenza della Repubblica

Ora che le cose sembrano andare per il meglio, il merito può e deve essere attribuito al collettivo. Appunto. Così è stato nei momenti bui, quando “sotto processo” è stata messa l’intera squadra (a pagarne, poi è stato Zeman, rappresentante di un progetto mai decollato). Lodare un team prevede, necessariamente, mettere sul piatto qualche nome. Stekelenburg, il portiere ritrovato? Marquinhos, il difensore sconosciuto portato alla ribalta? Pjanic, da grande escluso a leader del centrocampo? Lamela? Certo, tutti nomi idonei ad incarnare questo momento di grazia (ovviamente, Totti è fuori portata, per quello che ha dato e continua a dare, in nome di un legame indissolubile alla società), ma c’è un nome, tornato a risuonare nelle orecchie degli appassionati, a cui è bene dare il giusto plauso. Simone Perrotta.
“L’importanza di chiamarsi Perrotta”, può essere questo il titolo che rappresenta al meglio il momento del giocatore. Proprio come un atto teatrale, Simone, così la Roma, sta attraversando un momento catartico. Una purificazione e liberazione dai mali interiori, per dirla in modo platonico. La risoluzione di ogni nodo lasciato in sospeso. Esatto, sospeso. Come era lo stesso centrocampista, arrivato a Roma nel 2004, fino a qualche tempo fa. Un campione del mondo che ha passato gli ultimi tempi, una stagione e mezzo, in panchina a fare la riserva. Quello che entra, se c’è tempo, oppure si guadagna spazio nel turn-over. A risultato già acquisito. Proteste? Nessuna. Solo tanto lavoro e la certezza di essere ancora utile alla causa. Super-Simo, così lo chiamano a Trigoria, torna al gol il 2 Dicembre 2012: Siena-Roma. Regala il vantaggio ai giallorossi, 2-1 (poi la Roma segnerà il terzo gol, con Destro), ciò che importa è il fatto, la capacità, di essere ancora decisivo. Di far cambiare idea, con i fatti, non a suon di polemiche, a chi lo aveva inspiegabilmente messo da parte. Da allora, è stato decisivo anche contro il Genoa, segnando un gol alla vecchia maniera, su inserimento, come piace a lui. Con Andreazzoli, si è guadagnato un posto da titolare nelle ultime uscite, ha (ri) preso in mano il centrocampo. Senza contare che la traversa dell’Olimpico, in quella porta, dopo la partita di ieri contro il Parma, ancora trema. Vicino al gol e lontano dalle vecchie amarezze, così deve essere, perché solo chi cade può risorgere. Questa è la Roma, questo è Simone Perrotta.

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