L’addio al calcio di Javier Zanetti, Capitano e Gentiluomo

Era un giorno d’estate del 1995, il giorno in cui ha inizio questa storia, un 28 luglio di 19 anni fa, un giorno d’allenamento, un giorno come tanti. Ma è proprio quando meno te lo aspetti che succede qualcosa di magico.

Fonte: inter.it
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Stando ai giornali dell’epoca quella di Zanetti doveva essere un’esperienza breve e poco fortunata, arrivato in neroazzurro da outsider, in compagnia del vero colpo, Sebastián Rambert, senza sapere, che il destino, spesso è davvero beffardo e che la meteora ci sarebbe stata, si, ma sarebbe stata un’altra. Eppure niente faceva prevedere di essere davanti a qualcosa di grande, nemmeno le parole di Diego Armando Maradona, che tanto elogiarono l’acquisto del giovane Javier Zanetti, riscaldarono l’ambiente neroazzurro che tanto si aspettava dal ritorno della famiglia Moratti. Nonostante tutto però i tifosi impararono subito ad amare questo ragazzo dalla faccia pulita, questo argentino che sulla fascia destra macinava km, sempre educato, in campo e fuori.

Sono serviti solo 3 anni ad Javier Zanetti per alzare il primo trofeo, la Coppa Uefa del’98 sollevata al Parc des Princes dopo aver battuto 3-0 la Lazio grazie anche al gol dell’argentino, quello che per Zanetti resterà sempre il gol più importante della carriera.

E mentre i tifosi iniziarono ad innamorarsi di lui, Pupi iniziò a legarsi sempre più all’Inter diventando, nel 1999 dopo l’addio di Bergomi e Pagliuca , il Capitano, indossando quella fascia gialla che, quasi 20 anni dopo, è impossibile non associare al braccio del numero quattro neroazzurro. Calciatore giovane ma scelta perfetta: nessuno meglio di Zanetti incarnava e incarna i valori dell’Inter, con quella faccia pulita, il sorriso sempre pronto, la grande educazione, l’umiltà ma anche la grinta, la capacità di lottare e di crederci sempre. E non è un caso che Javier fosse tanto apprezzato da Giacinto Fachetti altro grande capitano interista.

Fonte immagine: Steindy su wikipedia
Fonte immagine: Steindy su wikipedia

Ma come in ogni grande storia d’amore, non c’è passione senza dolore, e Zanetti di dolore e delusione ne ha provate abbastanza, forse anche troppe, perché nonostante il tempo, quel 5 maggio del 2002 resta un giorno nero, anche a distanza di anni, perché quello scudetto perso all’ultima giornata resta difficile da digerire. Per non parlare del derby perso 6-0 a zero, delle sconfitte di coppa… Ora, non vorremmo irritare nessun tifoso interista ma la storia è fatta anche di cadute ma, come sempre, dopo le cadute ci si rialza e più sono rovinose le cadute, più imponenti sono le risalite.

E Zanetti si è rialzato, e con lui si è rialzata l’Inter. E non si poteva pensare a niente di meglio, qui, dopo il temporale non è arrivato il sereno, è arrivato il doppio arcobaleno. Perché dal 2006, la storia è cambiata, perché dal 2006 per Zanetti rappresentare l’Inter non è mai stato così bello e così pieno di responsabilità.

Arrivarono infatti i trofei,gli scudetti, le Coppe Italia, le Supercoppe… e le braccia iniziarono a far male al capitano, a quel quattro che, dato sempre come dodicesimo uomo, stupiva tutti macinando posti da titolare, quasi dovesse, ogni anno, provare a tutti il suo valore, smentire i gufi e continuare a lavorare, il doppio, per i suoi e per gli scettici.

E, ancora una volta, quando le cose si fanno complesse, Javier Zanetti torna a darsi da fare, a segnare un altro importantissimo gol, quello contro la Roma nello scontro diretto, e il rigore, l’unico tirato nella sua carriera, sempre contro la Roma in Supercoppa, rigore che, come ama dire, lo rende unico perché: “Ho il 100% di realizzazioni sui calci di rigore, uno ne ho tirato, uno ne ho segnato”, come ha ricordato nella trasmissione televisiva “E poi c’è Cattelan”. 

Fonte: Inter.it
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Ma la vera consacrazione, l’immagine che ogni amante di calcio terrà a mente sarà sempre la faccia piena di lacrime, un’altra volta, ma questa volta di immensa gioia, nella notte di Madrid, quando, al Bernabeu alza la terza Champions League della storia dell’Inter, la prima e unica della sua carriera, coronando il sogno del Triplete, sogno comune, accarezzato da molti, conquistato da pochi. Così vogliamo ricordare Javier Zanetti, finalmente ripagato, finalmente asceso al paradiso dei campioni.

E vogliamo ricordarlo così non per nostalgia ma perché, da quella notte in poi, la carriera di Zanetti si è avvicinata sempre più verso la sua naturale conclusione, sfiorata già in quel pomeriggio di Palermo quando, quasi quarantenne, per la prima volta il corpo, quel corpo a cui tanto si dedica, ha fatto crack, il tallone d’achille, l’infortunio degli eroi, lo ha messo ko. Ma anche qui il destino ha fatto il suo, anche nella scelta dell’infortunio.

Arrivando ora ad oggi, a questa stagione sciagurata, avvicinandosi a quella data, a quel 10 maggio che incombe, come una spada di Damocle sulla testa del Tractor, come lo soprannominò Scarpini, di Pupi come ormai il mondo lo conosce, la mente fatica ad entrare in contatto con la realtà.

Fonte: Inter.it
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Dire addio a Javier Zanetti non sarà facile, dire addio a lui significherà anche dire addio al calcio di una volta, al calcio fatto di bandiere di cui la nostra Serie A ora è sempre più vuota, eccezion fatta per alcuni, grandi superstiti. Dire addio a Javier Zanetti significherà dire addio ad un epoca, ad un Inter che si appresta ad essere molto diversa, non a caso il saluto di Moratti e Zanetti ha pochi mesi di distanza così come pochi mesi di distanza ci furono, nel lontano 1995 per il loro arrivo. Dire addio a Javier Zanetti porterà ogni interista a salutare il giocatore con più presenze neroazzurre, lo straniero con più presenze in Italia, il simbolo del Triplete, il segno di tanti, bellissimi ricordi, significherà non poter più cantare quel coro che per quasi 20 ha riempito San Siro: “Tra i neroazzurri c’è/ un giocatore che/ dribbla come Pelé/ Javier Zanetti alé…”.

Javier Zanetti è stato questo e molto altro ma, perdonate i sentimentalisti, vogliamo ricordare Pupi con  suoi capelli perfetti, quelli che nessuno può toccare, la fascia gialla, immancabile al braccio, il numero quattro sulla schiena, le gambe sempre pronte a macinare, la faccia pulita, le belle parole e la maglia neroazzurra indossata per 856 volte, numero pronto a salire, visto le tre giornate mancanti. Lo immaginiamo lasciare il campo, dirigersi negli spogliatoi, appendere le scarpe, spegnere le luci e sentiamo risuonare, tra gli anelli di San Siro, una vecchia canzone di un grande appassionato di calcio, scritto per un altro capitano, ma impossibile non accostarla a questo Capitano: ” Guarda i muscoli del capitano, tutti di plastica e di metano. Guardalo nella notte che viene, quanto sangue ha nelle vene.
Il capitano non tiene mai paura….” ( I muscoli del capitano, Francesco De Gregori ).

Fonte immagine: inter.it
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Addio, Javier Zanetti. Addio, Capitano. Benvenuto nel resto della tua vita. In bocca al lupo per la tua nuova carriera, quella da dirigente. Ma da dirigente interista. Perché oggi lasci il calcio, ma non l’Inter.

 

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