Esclusiva-Carlo Verdone: “Spalletti poteva gestire meglio il finale di Totti”

Il nome di Carlo Verdone è senza ombra di dubbio uno dei più iconici del cinema italiano. Da quasi mezzo secolo, ormai, l’attore romano diletta infatti lo Stivale e non solo con le sue pellicole, molte delle quali sono ancora oggi punto fermo dell’immaginario collettivo. Nel 2014 si è tolto anche la soddisfazione di accarezzare il premio Oscar, partecipando a “La grande bellezza”, indicato come miglior film straniero. Carlo Verdone ha rilasciato un’intervista in esclusiva a Soccermagazine parlandoci della Roma di cui è noto tifoso e, in generale, dei principali temi che stanno interessando la Serie A negli ultimi anni.

Carlo Verdone
Carlo Verdone – Fonte immagine: pagina Facebook ufficiale

Da diversi anni ormai il calcio italiano è fatto di proprietà straniere e sono sempre le stesse squadre a vincere. Lei che è un noto tifoso romanista, sta percependo un modo diverso di intendere il nostro campionato?

Il campionato è cambiato da un pezzo, da molti anni. Da quando il campionato non ha più limitato il numero di calciatori stranieri è diventato da una parte più interessante, perché le squadre che hanno grandi budget, che sono delle holding come la Juventus e l’Inter, possono permettersi il campione. Le altre squadre sono destinate a non avere mai il campione, ma ad avere dei giocatori stranieri buoni. Questo ha portato chiaramente ad un abbassamento del livello del calcio italiano, perché sono sempre meno i calciatori italiani che emergono. Tutti vanno a caccia dello straniero, nessuno ha pazienza nel vivaio italiano, pur di avere un posto su Sky o in televisione per ammaliare in qualche modo i tifosi.

Questo porta a un depauperamento del calcio italiano, ma a questo stiamo assistendo già da diversi anni. Vengono i presidenti cinesi, vengono i presidenti americani. Prima si faceva avanti qualche arabo, ma adesso hanno capito che il vero calcio si può giocare o in Francia, o in Germania o in Inghilterra, perché qua in Italia non è che ci sia tutto questo grande spettacolo. Quindi hanno in mano tutto loro e questo la dice chiara su un lungo momento di sfaldamento del calcio in Italia, anche dal punto di vista industriale.

Totti e De Rossi sono nel cuore di tutti i romanisti, ma entrambi hanno conosciuto due addii dolorosi. Secondo Lei, tra i due quale è stato gestito meglio?

Io penso che siano stati gestiti bene tutti e due, soltanto che il finalissimo delle loro carriere, soprattutto quella di Totti, poteva uscir meglio. Cioè, Spalletti poteva farlo uscir meglio, in maniera più dignitosa. In fin dei conti è un uomo che ha dato tanto alla Roma, agli spettatori, al calcio, agli incassi dello stadio, è diventato come un simbolo. Tenerlo in panchina nelle ultime partite, nell’ultimo campionato, fargli giocare soltanto 3 minuti o 4 minuti mi sembrava una cosa un po’ cattiva, ecco. Non andava fatta. De Rossi si è gestito come è stato possibile gestirlo. Ritengo che forse quello che a un certo punto è diventato molto pesante per Pallotta – questo è un pensiero mio – era quello che prendeva De Rossi, in una squadra così indebitata come la Roma quello che prendeva De Rossi era indubbiamente qualcosa di molto forte.

Però allo stesso tempo non si riesce a capire come una squadra che ha venduto l’invendibile, i migliori che hanno vinto tutto tra Champions, Europa League e campionati, alla fine ha lasciato un disavanzo ugualmente immenso e ha depauperato la squadra. Bisognava avere forse più coraggio e dire “Mi tengo questi giocatori e vediamo che succede”. Qualcosa succedeva. Magari non vincevi il campionato, però forse vincevi la Champions o forse facevi un po’ di soldi arrivando secondo nella Champions, o forse vincevi un’Europa League. Però vendere Alisson, vendere Salah… ma noi abbiamo venduto tutti! È stato un disastro, un disastro…

Tramite il mondo del cinema Lei ha avuto modo di conoscere da vicino uno dei presidenti di questa Serie A: secondo Lei qual è il più grande pregio di De Laurentiis dal punto di vista calcistico?

De Laurentiis è una persona molto difficile. Può risultare antipatico, però io lo conosco molto bene e conosco anche l’altra parte di De Laurentiis, che è anche un uomo di una generosità infinita. Poi magari ha 2-3 giorni storti in cui risponde in maniera perentoria, antipatica, un po’ ducesca e in qualche maniera diventa subito antipatico. Però alla fine è un uomo generoso che sa fare molto bene i suoi affari. Non è un caso che il Napoli è l’unica squadra che è in attivo dal punto di vista finanziario.

Il suo pregio è quello di stare molto attaccato alla squadra. Lo dimostra il fatto che l’unico nel cinema che lavora con lui sono io. Tutte le sue altre preoccupazioni e occupazioni sono rivolte alla squadra del Napoli. Lui va continuamente agli allenamenti, lui va continuamente negli spogliatoi, lui è sempre accanto alla squadra, lui è sempre al telefono con Gattuso. È un presidente che però è presente. Eh, capito?

C’è un singolo aspetto o anche semplicemente un giocatore che invidia alla Lazio di oggi?

Beh, Milinkovic-Savic è sicuramente un giocatore che quando è in forma è veramente notevolissimo. Ha dei colpi fantastici, ha delle giornate meravigliose, poi magari ha delle giornate in cui è meno lucido. Però, complessivamente, è un signor giocatore, non gli si può dir niente. Anche lo stesso Parolo è un giocatore che mi piace. È sveglio, attento, bravo in difesa, bravo anche ad andare all’attacco, insomma. Sono due che non sono niente male, ecco.

Tra poco saranno passati 40 anni dall’uscita di “Bianco, Rosso e Verdone”. Proprio nelle prime scene c’è uno dei rarissimi riferimenti al mondo del calcio che si possono individuare nei Suoi film: il poster di Causio nella camera di Pasquale Amitrano, che deve tornare nella sua Matera. Secondo Lei, a distanza di 40 anni l’influenza della Juventus e delle società del Nord sui tifosi del Sud è qualcosa di più di un luogo comune?

Beh, dipende molto dal grande esodo che ci fu durante gli anni ’50, alla fine del decennio, quando tutti dal Sud andavano a trovare lavoro al Nord. Molti si piazzarono a Milano, altri si piazzarono in Piemonte, a Torino. Però la Juventus ha agito bene, nel senso che li ha accolti questi tifosi che venivano dalla parte Sud dell’Italia, sono diventati una famiglia. È una società che sa gestire bene la tifoseria perché è una società molto ben organizzata. Alla fine tutte queste persone hanno continuato a vivere chi a Torino, chi a Milano, chi in provincia. Alla fine gli juventini sono tantissimi.

Questo dipende anche dal fatto che quando hanno preso piede le figurine Panini, indubbiamente la Juventus aveva già dei giocatori straordinari: Omar Sivori, José Altafini. Si capiva che era “la squadra”, la squadra da battere, la squadra più forte. Era la squadra che aveva dietro la FIAT, quindi non stupisce che la Juventus sia così forte e attiri dei tifosi anche di altre regioni. Ne vedo tanti al Sud che sono dell’Inter, addirittura. Ne vedo tantissimi. Dipende molto dalla famiglia che si è trasferita e ha fatto poi proseliti. Molti sono diventati o interisti, o milanisti, o juventini. È così.

Domanda secca: secondo Lei chi vincerà lo scudetto?

È difficile, perché siamo sempre a parlare di quelle 3-4 squadre, quelle più importanti. Però c’è da mettere anche il Napoli. Non sappiamo che cosa farà, però sta marciando sempre meglio, mi sembra che Gattuso ormai abbia il polso della situazione. Mi piacerebbe tanto vedere la Roma che arriva magari a un secondo, un terzo, un quarto posto, un posto in coppa. Però la vedo dura perché c’è un presidente nuovo, si deve ambientare, deve mettere a posto i conti, non può fare tanti acquisti. Quindi anche quest’anno la vedo un’altra volta dura.

Io, personalmente, se devo fare il tifo per una squadra che deve vincere il campionato, o l’Atalanta o il Napoli: col Napoli faccio contento il mio produttore, ma anche la squadra che mi sta simpatica, dai. Alla fine ha sempre tenuto uno standard di gioco molto alto negli ultimi anni, quindi se lo meriterebbe, però l’Atalanta in questo momento se lo merita di più perché è l’espressione del miglior gioco che c’è in Italia. Sembra una squadra all’inglese. Sembra di vedere Chelsea-Tottenham quando c’è l’Atalanta in campo. Ed è un vero piacere.

Per concludere: Lei che lavora da decenni nel mondo dello spettacolo e della comunicazione, come e quanto pensa sia cambiato il modo di vivere il calcio con l’avvento dei social?

È cambiato molto. C’è meno attenzione, c’è più calcio in televisione, quindi c’è più calcio visto sul divano e meno calcio purtroppo vissuto negli spalti. In molti ormai cercano in qualche modo di ridurre gli stadi: 80.000-70.000 spettatori sono troppi, bisogna portarli a 38.000-35.000, perché se no gli stadi non saranno mai pieni. È cambiato moltissimo e questo mi dispiace molto. Però purtroppo il business la fa da padrona, e quando entra il business entrano le televisioni, entra DAZN, entra Sky, entrano le esclusive, e allora chi è che ci rimette? Ci rimette lo stadio.

Quindi è un peccato, perché lo stadio era una festa di aggregazione e di condivisione. Lo è sempre di meno, purtroppo. L’unica cosa che potrebbe risolvere il problema è che la squadra funzioni talmente tanto che tutti vanno allo stadio. Infatti non è un caso che la Juventus ha sempre lo stadio pieno. E anche il Napoli e l’Atalanta.

Si ringrazia Carlo Verdone per la cortese disponibilità.

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