Il “romanzo” rivoluzionario di Maurizio Sarri: dietro la tuta, un mondo

I primi sfarzi del gioco pirotecnico di Maurizio Sarri hanno già stregato il pubblico dello Stamford Bridge. Quattro vittorie consecutive e vetta della classifica, in cohabitation con il Liverpool di Jurgen Klopp e il sorprendente Watford di Javi Gracia. Al suo esordio, il tecnico toscano ha già fatto meglio del proprio connazionale Antonio Conte, caduto alla quarta gara della sua prima esperienza inglese, complice un pareggio rimediato nell’ambito del match contro lo Swansea.

Sarri - Fonte immagine: empolifc.com
Sarri – Fonte immagine: empolifc.com

Da Napoli a Londra, il copione e gli scopi sono rimasti immutati: nella carta d’intenti di Sarri, persiste l’obiettivo primario di imprimere il proprio credo calcistico al Club di Roman Abramovič. A dettare i tempi di gioco in mezzo al campo è di nuovo Jorge Luiz Frello Filho, meglio noto come Jorginho. Attorno a lui gli attori sono cambiati, ma il tempo per imparare il copione a memoria abbonda; e, anche se siamo ben lungi dagli automatismi perfetti che hanno reso famoso il suo Napoli, qualche luccichio inizia a intravedersi: il calcio di Sarri è una prelibatezza che necessita di lunghi tempi di cottura. Ancora qualche settimana e sarà Sarriball.

La “Grande Bellezza” di Maurizio Sarri – Nella sua prima stagione alla corte del Club di Aurelio De Laurentiis, Sarri ha necessitato di qualche settimana per rodare i meccanismi del suo ambizioso macchinario, tant’è che, nelle prime giornate, la stampa nostrana iniziava già a paventare le prime ipotesi (mai rivelatesi fondate) di esonero; tuttavia, alla fine, la paziente attesa e la fiducia concessa al tecnico hanno ben pagato: il Napoli ha concluso il campionato al secondo posto, con un bottino di 82 punti, delle percentuali offensive da vertigini (con la formazione partenopea che ha registrato una media di più di due gol a partita) e il moral prize di squadra fautrice del gioco più interessante di  tutta la serie A. L’eco delle imprese dell’equipe sarriana ha, infine, travalicato i confini nazionali: i fari dell’intera Europa calcistica erano puntati sull’allenatore di origine napoletana, che ha potuto così iscriversi alla lista dei “teorici incorruttibili del pallone”, figurando nell’elenco di quei tecnici che non sacrificherebbero mai la propria filosofia di gioco sull’altare del pragmatismo esasperato e del cinismo, come Arrigo Sacchi (non a caso, principale sponsor di Maurizio Sarri), Marcelo Bielsa, Pep Guardiola e Zdeněk Zeman: cultori del bel gioco, profeti romantici di un calcio avvincente che debba “valere il prezzo del biglietto”, esponenti di una scuola di pensiero secondo la quale lo sport professionistico dovrebbe essere, prima di ogni altra cosa, uno spettacolo; e, in effetti, la trama di gioco imbastita da Maurizio Sarri è diventata, nel corso degli anni, la sceneggiatura di un vero a proprio cult movie: un 4-3-3 (che, in fase difensiva, si tramuta in un 4-1-4-1) all’insegna di tre direttrici fondamentali: il pressing offensivo nella metà campo avversaria, il mantenimento del possesso palla e lo sfruttamento delle verticalizzazioni. Nel triennio passato, il Napoli si è reso interprete di un gioco semplice ma tremendamente efficace: una macchina perfetta, capace di imporre il proprio ritmo a qualsiasi avversario (addirittura, anche se solo per quarantacinque minuti, al Real Madrid). La ricerca di un ideale estetico di altissimo valore, la tendenza ossessiva alla perfezione, l’attenzione smisurata per i dettagli: sono questi gli ingredienti della “Grande Bellezza” di Maurizio Sarri. Una bellezza che non toglie nulla al carattere disimpegnato e creativo insito nel gioco del calcio. A tal proposito, possono essere illuminanti le sue parole: «Prima ero più rigido. Ero più portato a pensare che la tattica fosse un valore assoluto. Ora so che il bambino che c’è in ogni giocatore non va mai spento. Non va mai represso l’aspetto ludico, quello per il quale il calcio si chiama, appunto, gioco del calcio. Quando un giocatore si diverte rende il doppio, ed è uno spettacolo meraviglioso».

I numeri di “Mister 33” – Nella scorsa stagione, “Mister 33” (questo il nomignolo che gli fu affibbiato nel 2001 da un giornalista, ai tempi del Sansovino, poiché 33 erano i suoi schemi su calcio d’angolo e punizione) ha sfiorato il miracolo: 91 punti, record nella storia del Napoli, e uno scudetto sfumato solo a causa di una Juventus formato deus ex machina. Peraltro, i record di Sarri alla guida della formazione partenopea sono tantissimi: record di vittorie e di punti sia in casa (15) che fuori (14), record di reti messe a segno in un solo campionato (94 i gol nella stagione 2016/2017, pur rimanendo orfano di un fuoriclasse assoluto come Gonzalo Higuain). E poi, ancora: media punti più alta della storia azzurra (2,64 nella stagione 2017/2018); maggior numero di vittorie in campionato (27) e maggior numero di vittorie consecutive (10). Merita poi menzione un dato: sotto la sua gestione, il Napoli ha ottenuto un record di punti dopo l’altro: 82, 86 e 91 in sequenza. Mai ne aveva conquistati tanti il club partenopeo. A questi numeri vertiginosi, fanno amaro riscontro i titoli in bacheca, che si attestano a quota zero. Lì dove erano riusciti i suoi predecessori Mazzarri (Coppa Italia) e Benitez (Coppa Italia, Supercoppa Italiana), il tecnico toscano ha fallito.

 

Maurizio Sarri e… Arturo Bandini – Dietro la patina di apparente dozzinalità che riveste il nostro “Mister 33”, si nasconde nella realtà dei fatti un animo sofisticato: Maurizio Sarri è, per sua stessa ammissione, un grande appassionato di letteratura, in particolare di Charles Bukowski e John Fante. Se con il primo condivide l’essere portatore di una lucida follia, l’amore per Fante, con ogni probabilità, non è casuale, al punto che si potrebbe attuare un parallelismo tra l’epopea letteraria di Arturo Bandini, protagonista della stupenda quadrilogia di romanzi (“Aspetta primavera, Bandini”, “La strada per Los Angeles”, “Chiedi alla polvere”, “Sogni di Bunker Hill”) dello scrittore italo-americano (e, peraltro, alter ego e controparte narrativa dello stesso Fante), e il vissuto del tecnico toscano. Arturo Bandini è un ventitreenne squattrinato che tira a campare per mezzo di lavoretti occasionali e umilianti; vive in una Los Angeles umida, fredda, polverosa, apparentemente troppo grande per lui, e ha un unico, grande sogno nel cassetto: diventare uno scrittore. Tuttavia, a parte un racconto breve sconosciuto ai più, Arturo non ha pubblicato niente di niente. La scrittura lo tormenta, gli toglie il sonno e le energie, è una vera e propria ossessione: pensa sempre e soltanto a scrivere, in ogni sua piccola azione del quotidiano. La strada per la notorietà è ardua, impervia, tutta in salita; i suoi familiari non appoggiano la sua ambizione professionale, mostrandosi riluttanti verso il suo animo fanciullesco da sognatore, anzi, lo spingono a fare i conti con la dura, scarna realtà: lasciar perdere quella strampalata professione, quel “non lavoro”, per dedicarsi a qualcosa di profittevole. Restare con i piedi ben piantati per terra, abbandonando ogni possibile velleità letteraria. Ma il ragazzo è un predestinato: è la natura ad aver deciso che sarà uno scrittore, fornendogli un registro stilistico raffinatissimo e uno smisurato estro; e sfuggire all’ordine naturale delle cose è impossibile. Ebbene, anche nel romanzo di Sarri possiamo scorgere l’elemento della rincorsa del sogno (anzi, più che un sogno, un’utopia), con la differenza che, mentre Bandini versava in condizioni di estrema indigenza, il protagonista, in questo caso, conduce una vita agiata: è un giovane bancario, dipendente della Banca Toscana, con altissime prospettive di avanzamento professionale. Proprio come Arturo, anche Maurizio vive tra le catene di un’ossessione: un chiodo fisso che non trova il proprio corrispettivo materiale in una penna, ma in un pallone. Tant’è che, dopo aver finito il turno in banca, scappa subito ad allenarsi; come calciatore è mediocre, galleggia tra la prima e la seconda categoria, impiegandosi modestamente nel ruolo di terzino. È ben conscio dei propri limiti. La natura non gli ha fornito le doti tecniche e atletiche indispensabili per intraprendere la carriera da calciatore professionista. Tuttavia, forse, Maurizio possiede un altro tipo di estro: un giorno un suo compagno di squadra, illuminato dal modo in cui guidava i calciatori in campo, propose alla società di promuoverlo allenatore-giocatore. Fu così che decise di dedicare anima e corpo alla carriera da tecnico, al prezzo di una gavetta che definire lunga è un eufemismo: prima dell’approdo in serie A, la lista delle squadre in cui Sarri ha allenato è lunghissima: Stia (1991-1993), Faellese (1993-1996), Cavriglia (1996-1998), Antella (1998-1999), Valdema (1999-2000) Tegoleto (2000-2003), Sansovino (2003-2005), Pescara (2005-2006), Arezzo (2006-2007), Avellino (2007), Verona (2007-2008), Perugia (2008-2009), Grosseto (2010), Alessandria ( 2010-2011), Sorrento (2011). Nel 2012 la grande occasione: gli viene affidata la panchina dell’Empoli, società animata dall’ambizioso obiettivo di conquistare il campionato cadetto. L’impatto iniziale con la serie B è tremendo: dopo nove giornate, l’Empoli è ultimo in classifica ed ha totalizzato soltanto quattro punti. Tuttavia, dalla giornata successiva, ha inizio una insperata rimonta, che consente ai toscani di qualificarsi ai play-off. La cavalcata sarà interrotta bruscamente dalla sconfitta rimediata con il Livorno in finale. L’appuntamento con la Serie A viene rimandato di un solo anno: nella stagione 2013-2014 l’Empoli finisce al secondo posto, conquistando la massima categoria. Nella stagione 2014-2015, mettendo in mostra un calcio frizzante e propositivo, la squadra conquista la salvezza con quattro giornate d’anticipo, configurandosi come la vera sorpresa del campionato. In estate, Aurelio De Laurentiis rinuncia al progetto inziale di affidare guida tecnica del Napoli a Sinisa Mihajlovic, virando proprio su Maurizio Sarri. Il triennio successivo è la vera e propria realizzazione del sogno: Sarri si impone come punto di riferimento e supremo maestro di calcio. Questo sogno trova compiuta espressione negli ottavi di finale della Champions League 2016-2017, quando la formazione partenopea, pur se sconfitta, riesce a imporre i propri ritmi di gioco ai Galacticos. Quel giovane bancario che, vent’anni prima, gravitava nelle categorie più infime del calcio dilettantistico nostrano, era riuscito a far tremare per quarantacinque minuti di puro spettacolo il club più titolato al mondo. Chissà se John Fante sarebbe mai stato in grado di scrivere un finale del genere per il suo Arturo. Probabilmente non avrebbe ottenuto i favori di pubblico e critica, forse sarebbe apparso un lieto fine troppo stucchevole, eccessivamente idealistico, troppo distante dalla realtà delle cose: eppure è accaduto sul serio.

L’uomo dietro la tuta – La storia di Maurizio Sarri è una storia di periferie, viaggi interminabili in pullman, sacrifici, ginocchia sbucciate e posaceneri pieni. Dietro l’immancabile tuta, ormai vero e proprio marchio di fabbrica, si cela un uomo dall’animo tormentato. Un uomo verace, genuino, lontano dai formalismi imposti dalle convenzioni sociali che classificano il valore di una persona solo sula base di inutili artifici come una giacca o una cravatta. Dietro la tuta di quell’anziano signore occhialuto si nasconde un mondo fatto di genio, raffinatezza, intelligenza, alle volte anche sregolatezza. C’è tutta una simbologia che rende immediatamente riconoscibile il nostro Mister 33: le sigarette, le parolacce, i turpiloqui, le accuse di provincialismo: dai campetti di periferia ai maestosi stadi inglesi, Maurizio Sarri non ha mai rinunciato al suo costume da “normal man”.

Forse è per questo che ci piace tanto.

Good Luck, Coach.

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