Esclusiva-NEST Football, la nuova frontiera della preparazione nel calcio

Da diversi anni a questa parte si sente parlare di mental coaching e di tanti altri fattori tanto cari a chi, come NEST Football, ha iniziato ad occuparsi nello specifico della formazione di atleti di ogni livello. Per approfondire la tematica, ancora poco diffusa nel nostro Paese, abbiamo incontrato la disponibilità di Nicolò Ferrari, CEO e founder di NEST Football, che ha parlato con noi anche di alcuni calciatori noti ai grandi palcoscenici.

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Come nasce NEST Football?

Nest Football nasce durante la mia breve carriera di calciatore: mentre non giocavo in serie C ho avuto tempo di analizzare tante dinamiche calcistiche e nel frattempo portare avanti i miei studi di psicologia. La cosa che senti più spesso all’interno di uno spogliatoio sono le lamentele: ci si lamenta contro il sistema, ci si lamenta di infortuni, ci si lamenta degli allenamenti , ci si lamenta della scarsa forma o del mister che non è valido. Ci si lamenta così tanto che si perde di vista la strada e non si cercano soluzioni. Ho visto talenti non riuscire ad esprimersi e ho visto giocatori mediocri riuscire a venire fuori da ogni situazione. Le situazioni vissute mi hanno fatto pensare tanto. Io stesso mi sono rivolto a dei professionisti (psicologi sportivi e mental coach) ma nessuno è riuscito a darmi quello di cui avevo realmente bisogno. Li ho capito cosa serviva al calciatore.

La realtà è che il calciatore è un’ atleta singolo proprio come lo è un tennista, la differenza sta nel fatto che il tennista ha persone attorno a lui che lavorano solo per lui, il calciatore no. Il calciatore è solo, non c’è realmente qualcuno che si impegna a dargli o dirgli quello di cui ha bisogno.

Nest Football ( New Elite Soccer Talent) lavora per l’atleta: noi cresciamo solo con i risultati del calciatore. Non si tratta solo di mental coaching, o di allenamento mentale, si tratta di creare una squadra di professionisti il cui unico scopo è il miglioramento del giocatore partendo però dalle abilità mentali.


Uno dei vostri settori di riferimento è quello del mental coaching, ancora poco conosciuto in Italia. Come si fa a capire quando un calciatore ne ha bisogno?

Credo che ogni calciatore che abbia voglia di migliorarsi debba lavorare con un coach: tutti sanno quanto è difficile guardarsi dentro e capire su cosa lavorare ma  è l’unico posto dove si possono trovare le risposte.

Troppi pensano che il mental coach sia solo per persone problematiche, in realtà il nostro compito è capire i bisogni dell’atleta e creargli attorno delle strategie per andare verso la sua ambizione.Il mental coach non ha le risposte per tutto, può certamente portare il  giocatore verso un migliore utilizzo delle sue abilità mentali ed un miglior atteggiamento ma restano scoperti troppe ambiti come il miglioramento tecnico/tattico, l’aspetto fisico/ atletico, la nutrizione, la prevenzione ecc tutte cose che devono essere assolutamente prese in considerazione e individualizzate.

Crediamo che solo riducendo le variabili del caso si possa ambire ad un risultato importante e quindi al successo personale, controllare solo una variabile non è sufficiente. E’ fondamentale lavorare sulla testa ma non è l’unica cosa.


Come viene affrontato il mental coaching da parte dei giocatori? È un tabù o viene accolto da tutti senza riservatezza?

Negli ultimi anni c’è stata una maggiore apertura verso questa professione, forse anche “grazie” ai risultati di una nazionale scadente ci siamo resi conto che il problema reale non era nel fatto che ci fosse talento o meno: come si può dire che non c’è talento in italia? Il problema reale è che se ne perde molto di più che in altri paesi europei e quindi quando ci si trova ad affrontare situazioni stressanti o difficoltose il nostro “talento” italiano non è pronto. Credo sia cambiata parecchio l’educazione in Italia e di conseguenza anche superare situazioni difficili non è più così scontato. Molti calciatori non amano far sapere che sono seguiti da un mental o da uno psicologo, soprattutto perché sono influenzati ancora da errate convinzioni basate su vecchi preconcetti. Diversamente succede quando si vedono seguiti da un un intero team che si coordina tra cui c’è anche il mental coach. Credo che quando le persone capiranno realmente la funzionalità ci sarà ancora più richiesta.


In cosa differisce la psicologia di un calciatore professionista rispetto a quella di un atleta comune?

Essenzialmente la maggiore differenza tra un atleta top level ed un calciatore normale penso che si trovi soprattutto nell’atteggiamento. A parità di qualità e talento sono molte le dinamiche che possono differenziare i due atleti tipo: la reazione emotiva all’errore, entrare nel gioco e saperci rimanere in qualsiasi situazione stressante anche davanti a 50.000 persone o nella partita più importante della stagione; oppure non avere  paura del giudizio, avere un’autostima elevata soprattutto quando le cose non girano. Anche la persistenza, costanza, leadership, comunicazione, focus attentivo elevato, volontà, cura dei dettagli, motivazione intrinseca, dialogo interno, ritmo , percezione della fatica ecc.

Ci sono tanti elementi, come per la tecnica di base, che se allenati creano l’atteggiamento giusto, se poi affiancati ad abilità fisiche e tecniche importanti creano l’atleta d’élite.


Sappiamo che vi occupate anche di preparazione atletica e alimentazione: significa che alcuni atleti sottovalutano troppo questi aspetti?

Molti calciatori  pensano di lavorare bene e di mangiare sano, in realtà molto spesso vediamo che hanno delle convinzioni sbagliate sull’argomento.

Addirittura alcuni atleti di alto livello( A/B), anche ad età avanzata , tipo 26,27 anni , ancora non hanno imparato a conoscere il proprio corpo o il proprio metodo di lavoro per mettersi nella condizione fisica ideale per performare. Gli infortuni spesso sono una conseguenza di un metodo scorretto o di una disinformazione. Uguale per L’integrazione assolutamente funzionale al recupero spesso viene sottovalutata.

Si pensa che le società in cui giocano debbano pensare a tutto questo, ma in Italia solo un 10% lo fa correttamente.


NEST Football accompagna il calciatore nell’arco dell’intera carriera o solo per una parte?

Il nostro intento è quello accompagnare il calciatore per tutta la carriera ma interveniamo anche per periodi di tempo brevi: avere dei professionisti validi che ti seguono da quando hai 18 anni fino alla fine, quanto può dare al calciatore? e quante informazioni possiamo dare alla squadra in cui andrà a giocare?

Crediamo che creare insieme all’atleta il miglior progetto personale  possa essere la chiave per raggiungere risultati importanti.

Lebron James investe più di un milione di euro all’anno tra macchinari e team di lavoro e i risultati sono tangibili. Naturalmente tutto va rapportato ma diciamo che a noi piace crescere assieme ai risultati dell’atleta.

All’interno di NEST ci sono professionisti  validi e competenti come Filippo Polverelli, Nicolò Gatta, Andrea Grassi (Mental coach e human resource),  Andrea Arpili ( preparatore e allenatore UEFA A), Lorenzo Vagnini( Match Analist ) e altre figure ognuna con un compito preciso fino ad arrivare all’utilizzo del BioFeedback grazie al dott. Guido Bresolin.


Quali calciatori hanno sposato finora la causa di NEST Football?

Ad oggi seguiamo circa 50 giocatori dagli U15 alla serie A.

Ma non è il numero che conta, conta il risultato. Se parliamo di risultato possiamo parlare di Andrea Bussaglia partito dalla Beretti del Rimini approdato quest’anno in B al Cittadella, possiamo parlare di Giangiacomo Magnani che in poco più di un anno di lavoro assieme è passato dal retrocedere al Lumezzane a giocare in Serie A nel Sassuolo. Oppure di Federico Macheda e Marco Calderoni retrocessi con il Novara dalla serie B che nella stagione odierna stanno facendo molto bene: il primo è quasi in doppia cifra al Panathinaikos e il secondo che si sta giocando la Serie A a Lecce.

Jacopo Furlan premiato miglior portiere della Lega pro.

Anche Nicholas Pierini alla sua prima stagione in serie B ha totalizzato 5 gol o Andrea Dini dalla Serie D alla Serie B.

C’è ne sono tanti altri pronti ad esplodere che il mondo del calcio ancora non conosce; i risultati richiedono tempo non ci sono scorciatoie

A giugno organizzerete un ritrovo di training per i vostri calciatori: da dove nasce questa idea e di cosa si tratta esattamente?

Il progetto nasce da esperienze passate di  quando giocavo: credo che il primo approccio faccia la differenza e possa segnare il 70% della stagione. Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione. Per questo motivo diamo molta importanza al ritiro e ancora di più al periodo off-season: è quando sei lontano dal campionato che puoi concentrarti per costruire qualcosa.

Molto calciatori pensano solo a mantenere lo stato di forma in quel periodo ma ne ho visti pochi arrivare veramente pronti al ritiro con la squadra.

Quale è lo scopo di tale evento e quanto influisce nella preparazione – mentale e fisica – dell’atleta prima dell’inizio della stagione?

Lo scopo è Costruire e preparare un atleta alla prossima stagione: ciò  significa programmare il periodo off-season con le dovute soste, significa comprendere quello che non ha funzionato nella stagione passata , significa migliorare i limiti dell’atleta che certamente non sono solo fisici.

Molte convinzioni devono essere smontate e sostituite con altre.

In più è un momento per creare gruppo e divertirci assieme.

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