Esclusiva-Julio Sergio: “Ranieri mi ha insegnato il rispetto. Non si può separare Totti dalla Roma”
L’ex portiere della Roma Julio Sergio ha parlato ai microfoni di Soccermagazine a pochi giorni dall’ultima panchina di Claudio Ranieri con i giallorossi.
Quando si pensa ai fasti della Roma di Claudio Ranieri la mente vola anche alle storiche parate di Julio Sergio Bertagnoli, che per poco non ha vinto con i giallorossi lo Scudetto del 2010. Julio Sergio è ancora molto legato alla Lupa e ai suoi ex compagni. L’ex portiere non ha perso di vista nemmeno il resto del calcio italiano. Julio Sergio ha rilasciato così un’intervista in esclusiva a Soccermagazine parlando del momento attuale della Roma, della Serie A e non solo.

Ormai la Serie A è alle battute finali: ti sorprende vedere che una squadra forte come l’Inter rischierà di perdere lo Scudetto all’ultima giornata?
Loro sono in finale di Champions e un punto sotto al Napoli: immagina quanto è stato difficile arrivare a questo livello! Comunque le altre squadre hanno grandissimi giocatori. Una stagione in cui all’ultima giornata sei solo un punto sotto e in finale di Champions a mio parere è una grande stagione.
Proprio a Napoli c’è un giocatore brasiliano che ha faticato un po’ a prendersi la scena, David Neres, che è diventato titolare solo dopo la partenza di Kvaratskhelia. Come mai è così poco considerato dalla nazionale verdeoro?
Ci sono tanti giocatori che giocano nel suo ruolo. Abbiamo sicuramente i migliori giocatori quando parliamo delle individualità a livello mondiale. Se facciamo una lista dei primi 10 possiamo mettere almeno 3 brasiliani, quindi non è semplice per un giocatore avere questa possibilità. Andare in nazionale è ovviamente un desiderio di tutti quelli che arrivano a questo livello, poi comunque sia giocando in una grande squadra e facendo bene dopo che ha iniziato a giocare sempre più spesso chissà che il prossimo anno possa essere attenzionato… Adesso c’è un allenatore che segue molto bene il calcio italiano e potrebbe avere un’opportunità.
A proposito di Brasile: è da poco ufficiale infatti la notizia che il nuovo ct sarà Carlo Ancelotti. Pensi sia la scelta giusta?
Ancelotti ha vinto tutto quello che poteva vincere, in 5 Paesi differenti. Ha vinto la Champions League tante volte. Adesso va ad allenare una nazionale che ha una storia molto bella. Il presente non è così facile perché abbiamo passato tante difficoltà con la nazionale negli ultimi tempi tra tanti allenatori. Ho avuto il piacere di giocare contro di lui e poi conoscerlo a Madrid. Per me è la scelta giusta. Un grande allenatore, un vincente. Dove è andato e dove è passato lo amano per la sua simpatia e per la sua personalità, per quanto riesce a coinvolgere e creare un ambiente positivo. Speriamo che la scelta possa diventare più che giusta quando lui porterà a casa dei risultati importanti. Poi, vincere è un altro discorso… oggi il calcio è molto equilibrato e lui ha preso una responsabilità che è della sua misura. Sono contento di avere lui come allenatore della nazionale brasiliana.
Come ti spieghi invece il fallimento di Douglas Luiz alla Juventus, che aveva investito molto per prenderlo dall’Aston Villa?
Ci stanno giocatori importantissimi, fenomeni, fuoriclasse e “craque” – come diciamo noi – che certe volte non riescono ad adattarsi a una nuova realtà. È successo ad esempio con Van der Sar o con Ibrahimovic a Barcellona. Grandissimi giocatori che non riescono sempre ad esprimere il loro valore. Douglas Luiz ha una forza e una condizione tecnica per fare bene, purtroppo non è andata così e può succedere. Ci sono tante cose che poi coinvolgono la vita di un calciatore: c’è la famiglia, l’ambientazione, lo stile di gioco. Quindi è difficile capire precisamente quello che è successo e perché non è andata come doveva.
Claudio Ranieri è stato l’allenatore col quale hai sfiorato lo Scudetto con la Roma nel 2010: a pochi giorni dal suo ritiro da allenatore, c’è un aneddoto su di lui che non hai mai raccontato?
Io ho una gratitudine nei confronti di mister Ranieri per cui non riuscirò mai ad esprimere con parole quello che lui mi ha dato. Quando lui è arrivato a Roma mi ha trovato lì, giocavo, poi è rientrato il portiere che era titolare in quel momento e dopo sono diventato titolare. Più che un aneddoto, un insegnamento. Lui mi ha insegnato un calcio veramente di rispetto. Un’educazione, una postura, una conduzione chiara, diretta e rispettosa. Il mio rapporto con lui mi ha fatto capire tante altre cose che certe volte non si immergono nel mondo del calcio. E poi lui ha fatto tanto. Lui ha fatto un capolavoro col Leicester, abbiamo fatto una rimonta incredibile con la Roma quell’anno lì, non abbiamo vinto però è stato bellissimo viverla. Lui aveva al suo fianco a quel tempo un allenatore dei portieri che era una persona molto importante, che era Giorgio Pellizzaro, che purtroppo non c’è più. C’era anche Paolo Benetti. Queste persone mi hanno dato tanto, come la Roma e come la città di Roma. A me fa solo piacere che lui possa sfruttare gli ultimi minuti e gli ultimi giorni per onorare la grandezza del suo valore.
Tu sei stato spesso protagonista anche nei derby: come ti sembra la Lazio di oggi rispetto a quella che affrontavi tu in campo?
Tutto è cambiato. Il calcio è cambiato un po’, più che altro anche il modo di vivere il calcio del giocatore. I telefonini, i social… tutto questo ha comportato un cambiamento molto importante nel modo di vivere il calcio e di fare il calciatore. Non posso dire se la Lazio e la Roma dei miei tempi fossero migliori o peggiori di quelle di oggi, però comunque la Lazio è tanti anni che riesce a stare sempre lì, vicino alla qualificazione in Champions League o Europa League, quindi è una squadra competitiva. Poi avere dei risultati in confronto ad altri è più difficile per via di tante cose che possono succedere nel calcio. Per me parlare di Lazio è un po’ strano, anche se ho un rispetto enorme perché per come giocavo con la Roma loro mi hanno fatto diventare una figura importante grazie ai derby che ho giocato. Non ho tanto da dire: loro sono sempre una squadra che si mette in competizione e negli ultimi anni sono sempre lì, nella parte più alta della classifica.
Ormai sono passati 6 anni da quando Totti ha lasciato la dirigenza della Roma: pensi che i tempi siano maturi per rivederlo finalmente a Trigoria?
Francesco è una bandiera, no? Ho avuto il piacere di essere suo compagno di squadra, di giocare insieme a lui e di poter convivere con un Francesco che magari le persone non hanno l’opportunità di conoscere. È una persona incredibile, un ragazzo straordinario, allegro, felice. Lui ha intrapreso negli ultimi anni una strada un po’ lontana dalla società, ma comunque non si può separare Francesco dalla Roma. Se la società pensa che sia il momento giusto e lui è disponibile a prendere un ruolo dove possa fare bene e sviluppare un lavoro importante, è pur sempre il giocatore più importante della storia della squadra. Quindi a me farebbe molto piacere. Poi tutto dipende dalla voglia della società di riportare Francesco a casa.
Oggi ti senti ancora con Totti e De Rossi?
Ci messaggiamo. Con Daniele, con Francesco, al suo compleanno, per queste occasioni qua. Purtroppo io vivo in Brasile e ognuno ha preso la sua strada: Francesco ha i suoi business, la sua vita, è sempre in giro per il mondo per la grandezza del giocatore che è stato, Daniele fa l’allenatore ed è coinvolto in altre cose, e io sto sviluppando il mio lavoro qua come procuratore. Ogni tanto ci sentiamo, per possibilità di business o per salutarci. Purtroppo non posso convivere con loro per la distanza. Cose normali per un calciatore. Poi succede anche con altri calciatori. Sono stato in Italia in questi giorni, ho sentito Cassetti, ogni tanto sento altri giocatori come Castán e Simplicio, quelli con i quali alla fine siamo rimasti più vicini.
A distanza di tanti anni, cos’è che ti manca di più di Roma oggi?
Quello che mi manca è il caffè, il cibo che mi piace da morire: l’amatriciana, la cacio e pepe, i panini… queste cose qua che non troviamo in Brasile! Ogni tanto mi metto a cucinare qualcosa qua, per provare a fare qualcosa di buono. Certe volte viene bene, certe volte viene meno bene. E anche la mia busta paga mi manca un po’! Però se parliamo seriamente, vivere a Roma per me è stato un vero piacere. La città e la società mi hanno dato tanto: mi hanno dato soldi, i miei figli sono nati a Roma, ho fatto un sacco di amici. Alla fine sono stato quasi 8 anni in Italia di cui 7 a Roma, quindi per me è un piacere quando torno. Sono rimasto 10 giorni a Roma, sono rientrato in Brasile pochi giorni fa per lavoro. Ho la fortuna di poter andare in Italia a lavorare e godermi Roma e l’Italia in un modo diverso, adesso non più come calciatore, ma come una persona che va in giro e può fare tante cose che certe volte un calciatore non può fare.
Si ringrazia Julio Sergio Bertagnoli per la cortese disponibilità.
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