L’ex Gaetano D’Agostino elogia la Roma: “Si vede la mano di Fonseca”

Gaetano D’Agostino, ex giocatore di Fiorentina, Udinese e Roma e oggi allenatore del Lecco in terza divisione, viene ancora oggi ricordato come una promessa mancata per i grandi palcoscenici internazionali. Il possibile trasferimento al Real Madrid saltato per un soffio ha fatto storia e la parentesi nell’Italia di Lippi non ha avuto seguiti. D’Agostino ha parlato ai microfoni della trasmissione web radio “Cor Core Acceso”.

Gaetano D'Agostino di Александр Мысякин, soccer.ru - Wikipedia
Gaetano D’Agostino – Fonte: Александр Мысякин, soccer.ru – Wikipedia

Buonasera signor D’Agostino. Che partita si aspetta contro il Livorno? Quali sono le vostre ambizioni?

“Andiamo a Livorno, dove non c’è una situazione tranquilla ma la squadra è forte. Andiamo lì per fare la nostra partita e cercare di vincere, perché la mentalità deve essere sempre vincente. Le ambizioni sono più alte rispetto all’anno scorso: speriamo di poter fare bene in questo campionato.”

Lei ha giocato sia con la Roma che con l’Udinese, ma è ad Udine che ha lasciato un nucleo importante della sua carriera. Come arrivano le due formazioni al match di domani sera? Cosa si aspetta? 

“Mentalmente, nella consapevolezza dei proprio mezzi, ci arriva meglio la Roma, che ha giocato bene con la Juventus ed a sprazzi anche contro il Verona. L’Udinese non ci arriva benissimo, stenta a decollare. Io credo che se la Roma gioca con gli stessi concetti e la stessa intensità che ha messo contro la Juve, secondo me è molto avvantaggiata rispetto all’Udinese.”

Guardando le rose attuali di Roma e Udinese, riuscirebbe ad individuare 2 giocatori chiave delle 2 squadre?

“Veretout e Mkhitaryan in questo momento sono gli equilibratori della Roma, in più sono quelli che al momento in fase di realizzazione stanno determinando di più. Dell’Udinese dico De Paul, perché è l’unico in grado di inventarsi la giocata.”

D’Agostino, lei ha individuato qualche giovane della Roma Primavera che le piacerebbe allenare a Lecco? 

“L’anno scorso si, c’era qualche giocatore che a gennaio volevo portare su con me. Poi parlati con Morgan (De Sanctis ndr) che mi consigliò di non farlo perché avrei indebolito la Primavera giallorossa e non avrei rinforzato il mio Lecco.Questo perché l’anno scorso la Primavera della Roma ha vissuto una stagione un po’ atipica per come ci abituato il settore giovanile capitolino, Quest’anno invece ancora non si sa se inizia il campionato Primavera, quindi al momento non ho visto nessuna partita: io ne vedo tante per poi essere in grado di richiedere giocatori nella finestra di mercato di gennaio, quindi mi potrete rifare la stessa domanda intorno a novembre/dicembre.”

Ha dei ricordi particolati legati alla sua avventura a Roma? Qualche personaggio o allenatore con cui si è trovato meglio?

“Guarda, sono passati 20 anni dallo Scudetto (ride ndr.). Un nostro compagno ha creato un gruppo del 2000/2001, per festeggiare quei 20 anni lì. Ancora oggi ho un bellissimo rapporto con tutti anche se era un giovanissimo della Primavera aggregato con la prima squadra. La prima cosa che ho scritto in quel gruppo è che sono stati prima dei grandi uomini e poi dei grandissimi calciatori. Io ho imparato molto da Fabio Capello e Italo Calbiati, perché impari non tanto come calciatore, quanto come uomo a stare vicino a gente di quel genere: impari ad essere un uomo nello spogliatoio.”

C’è un calciatore di quel gruppo di cui ha parlato poco fa con il quale ha condiviso più ricordi e col quale si trova meglio? 

“Alla fine un po’ con tutti: a Delvecchio ho allenato il figlio prima ad Anzio poi nel Francavilla, quindi con Marco ci siamo sempre sentiti. Poi con Tommasi, perché è stato presidente dell’AIC, ho sentito Cufrè pochi anni fa, mi ha chiamato Guigou, Francisco Lima. Ogni tanto dei flashback riafforano, anche se ero solamente un pulcino che restava lì ad ascoltare. C’era del sano nonnismo, c’era davvero rispetto per le autorità. Adesso invece vacilla perché il giovane va corretto e siamo noi a dover stare al passo con loro: io, insieme a Lanzaro e Amelia, raccoglievamo i palloni, le casacche, non dovevamo sgarrare di 1 minuto altrimenti Capello ci impiccava. Adesso invece coi social sono gli allenatori che si adeguano alle nuove generazioni perché sono più avanti su certe cose ma più indietro sulle regole.”

Secondo D’Agostino oggi si approccia in maniera diversa al calcio? Si intende fare il calciatore in modo diverso o c’è ancora il sacrificio?

“Non si può fare di tutta l’erba un fascio: il sacrificio io lo vedo ancora, magari su altri meno. Il calcio è cambiato, anche come modo di pensare: pensate che la prima regola del nostro spogliatoio era di tenere il telefonino spento, oggi vai su Instagram anche di club importanti come Juve e Milan e si fanno le storie i giocatori. Quindi le regole sono cambiate. Io stesso avevo messo delle regole che poi ho dovuto cambiare 1 mese dopo: devi scendere a compromessi, è brutto dirlo ma è così”

Secondo lei Morgan De Sanctis ha le caratteristiche giuste per fare il Direttore Sportivo, dato che qui a Roma è una figura che manca? 

“Io uno come Morgan lo sponsorizzerei sempre perché è una persona seria, leale e umile, perché studiare è un segno di umiltà, dato che lui non nasce direttore sportivo. Anche il saper seminare lo sta portando a scalare posizioni e secondo me ha tutte le carte in regola per diventare un grande direttore sportivo. A Roma è stato spesso criticato, ma si sa che lì si vive di critica.”

D’Agostino, che idea si è fatto di Fonseca? Un allenatore che qui a Roma ha subito tantissime critiche

“C’è sempre un motivo per cui non si vince spesso. L’unico vincente negli utlimi 20 anni è Capello: sergente di ferro, con curriculum importante, ha vinto. Ma ricordatevi la Coppa Italia che abbiamo fatto con l’Atalanta con 5 mila tifosi a contestare a Trigoria. Io non me lo scordo, perchè se la sono presa pure con me (ride ndr.). O tutto il panorama Roma, ovvero tifosi, critica, giornalisti sportivi che sanno parlare della materia calcio, dentro Trigoria, diventano coesi allora la Roma può fare qualcosa d’importante. Se alla prima partita prima De Sanctis, e poi Fonseca, cioè si trova sempre un capro espiatorio non si va da nessuna parte.

Fonseca ha dimostrato in Italia di essere un bravo allenatore, che ha saputo adeguare alcuni giocatori anche in un ruolo non loro ed ha fatto bene. Lui è arrivato in un momento in cui si parlava di De Sanctis, c’era la polemica, giusta, di Pallotta che non veniva a Trigoria, di Baldini che faceva mercato, lui è rimasto concentrato pur non avendo una rosa competitiva soprattutto nei cambi. Cosa può fare di più? Ha fatto la difesa a 3, quindi si è subito adeguato al calcio ed al tatticismo italiano, ma più di questo un allenatore che può fare? Ci ha messo amore, passione, ha imparato subito la lingua, cosa che magari altri non fanno. A me Fonseca piace. Contro la Juve si è vista la mano dell’allenatore e le ha dato una lezione di calcio.

Poi chiaro che per vincere ci vogliono tanti ingredienti: organizzazione, programmazione a medio-lungo termine, ci vuole una difesa ferrea dall’ambiente, non si può ogni volta massacrare tutti per un risultato e poi osannarli per una vittoria nel Derby. Io credo che nel 2020 bisogna pensare ad una programmazione efficace come ha fatto, nel suo piccolo, l’Atalanta che ovviamente non ha le stesse pressioni di Roma però i giallorossi non si possono permettere nemmeno di vincere ogni 20 anni.”

D’Agostino è stato un grandissimo regista: quale sarebbe oggi quello adatto per la Roma?

“Eh, il problema è trovarlo. Però qui vi dico una cosa: il Milan Tonali a quanto l’ha preso? Ora, con tutto il rispetto, un investimento per l’età e per la qualità che ha Tonali avrebbe potuto farlo la Roma. Avresti avuto, tra lui e Zaniolo, un pacchetto di 150 milioni, prendendoli a poco: Zaniolo te lo sei ritrovato in casa, con Tonali facevi un piccolo investimento, magari facevi esaltate la piazza e fare un grande campionato, ed sarebbe stato un giocatore che tra 2 anni avresti potuto vendere benissimo a 70/80 milioni, perché di registi veri in Italia non ce ne sono più.

Se il Barcellona prende Pjanic e dà Arthur in uno scambio, significa che nel panorama europeo non ci sono registi. Il Milan è stato intelligente, perché potrebbe anche averne 2 con Bennacer, che è tipo un Pizarro, ovviamente con le dovute proporzioni. In giro non ce ne sono altri e chi ce li ha se li tiene stretti. 

Vediamo sempre più spesso allenatori che arrivano in Serie A senza alcun tipo di esperienza, come ad esempio Pirlo o Pippo Inzaghi e Seedorf al Milan: secondo D’Agostino questo è un errore oppure una scommessa ponderata dalle società?

“Io parlo di Pippo Inzaghi; lui ha preso la panchina del Milan, dove ti ritrovi dall’essere uno degli attaccanti più prolifici della storia rossonera ad allenare: esonerato. Poi si è rimesso in gioco, ha fatto una gavetta, adesso si ritrova in Serie A: significa che lui si è saputo adattare e che ha avuto l’umiltà di ricominciare. Stessa cosa Brocchi. Quando uno prende un allenatore che non ha mai allenato, anche se molto competente, non importa se sai mettere bene un cinesino o se sai applicare un principio: c’è la gestione del gruppo, lo spogliatoio, il saper passare dall’altra parte, quindi sapersi interfacciare con giocatori coi quali giocavi magari 1 mese prima.

Hai smesso e ti ritrovi in panchina, quindi la comunicazione cambia. Ci sono tanti fattori che possono portare ad un fallimento. Per questo io la definirei più una scommessa che un investimento, perché è un terno a Lotto. Il Barcellona lo ha fatto con Guardiola, poi lui si è rivelato un allenatore importante, ma comunque hanno scommesso su di lui. Ma già conosceva l’ambiente, i principi di gioco dalla Primaversa blaugrana. Quando uno prende Pirlo, spero che faccia bene così, parlando egoisticamente, capiscono finalmente che gli allenatori giovani hanno voglia, hanno fame, hanno ambizione, hanno idee “innovative” magari senza nulla togliere ad allenatori esperti perché noi da lì prendiamo spunto, ma ciò non toglie che resta una scommessa.

Poi è chiaro che ha più credito perché si chiama Pirlo, però è pur sempre una scommessa. Io sono dovuto ripartire dalla Serie D. Avrei potuto fare benissimo il collaboratore in prima squadra con le conoscenze che ho, fare il secondo in Serie B. Però, siccome mi sento un primo allenatore, voglio arrivare in Serie A con le mie gambe. Se un allenatore fa male pur avendo “il nome” fa male il doppio, quindi le società che investono su allenatori che non hanno mai allenato, per me fanno una scommessa, che può essere vincente o perdente.” 

Su questo sito utilizziamo strumenti nostri o di terze parti che memorizzano piccoli file (cookie) sul tuo dispositivo. I cookie sono normalmente usati per permettere al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per generare statistiche di uso/navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare opportunamente i nostri servizi/prodotti (cookie di profilazione). Possiamo usare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti ad offrirti una esperienza migliore con noi. Cookie policy