L’invasione orientale del calcio

Il calcio si compra. Non è più una passione, un gioco, un divertimento. È un business. Un affare nel quale le narici esperte dei miliardari orientali hanno riconosciuto l’odore del denaro. La tradizione sportiva, il blasone dei club o anche solo il livello agonistico del campionato non contano più. Conta solo chi offre di più.

fonte foto: flickr/americanistadechiapas

Lo abbiamo visto nel 2003, quando un certo russo miliardario, tale Roman Abramovich, ha acquistato la quota di maggioranza del Chelsea, club londinese di medio livello, e lo ha trasformato in una suqadra di prima categoria a livello internazionale. Tutto questo col solo potentissimo impulso dei soldi. Stessa cosa per il Manchester City, che, nonostante uno splendente passato, erano quasi 50 anni che non vinceva niente, ma con l’arrivo nel 2008 dei petroldollari del principe degli Emirati Arabi Uniti, è riuscita al termine di questa stagione a conquistare la FA Cup.

Inizialmente questa “invasione orientale” era rimasta circoscritta alla Premier League, ma negli ultimi anni anche la Liga spagnola e la Ligue 1 francese sono state contagiate. Basti guardare il Malaga, squadra spagnola di zona salvezza, caricata a suon di milioni di campioni di ben altro livello quali Van Nistelrooy, Toulalan, Cazorla e Joaquin oppure il Paris St. Germain, che con i petroldollari qatariani si è imposta su questa sessione di calciomercato con una serie di salatissimi acquisti tra i quali spunta Javier Pastore (43 milioni).

Ma l’acquisto di società non è l’unico modo per intromettersi di questi nuovi signori del calcio. Se non puoi acquistare una grossa squadra europea, basta prenderne una piccola orientale, ricoprirla dell’odore dei soldi e aspettare che i calciatori più forti vengano da te, attratti quasi come zanzare di fronte ad un neon. Il problema infatti è questo: i calciatori sono viziati! Li abbiamo ricoperti di fama, di denaro e di bella vita e adesso loro non ne posson o più fare a meno.

L’esempio più lampante e discusso di tutto questo è stato, neanche a dirlo, il trasferimento di Samuel Eto’o dall’Inter all’Anzhi Makhachkala. Il Re Leone, nonostante giocasse in uno dei campionati più belli del mondo, in una squadra di primissimo livello e fosse l’idolo di tutti i suoi tifosi, ha deciso di accettare il mostruoso ingaggio che i miliardari russi gli hanno offerto. Nulla da dire, 20 milioni di euro all’anno farebbero svenire chiunque riesca a prendere coscienza di quanti siano, e lui di soddisfazioni durante la sua carriera se ne è tolte più che a sufficienza (3 Champions League su tutte), ma davvero uno dei più bravi attaccanti del mondo è giustificato ad abbandonare una squadra come l’Inter e il suo stipendio di “soli” 9 milioni all’anno con l’unica scusante della montagna di denaro che i russi gli riverseranno addosso? Una cosa è certa, ovvero che il calcio italiano ha perso un grande campione, e lo ha fatto a favore di quello russo, cosa che non sarebbe nemmeno stata ipotizzabile anche solo 10 anni fa.

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