4 anni fa Italia-Slovacchia: chi sarà il nuovo Quagliarella contro l’Uruguay?

Fonti immagini: Jorge-11 e ACF Fiorentina
Fonti immagini: Jorge-11 e ACF Fiorentina
JOHANNESBURG – 24 Giugno 2010, ore 18:05: gli azzurri danno l’ultimo calcio allo Jabulani. I campioni del mondo uscenti si arrendono di fronte alla realtà: il triplice fischio di Webb era quasi atteso, sperato, come fosse la soluzione all’agonia. E quando arriva, il Mondiale è finito.
Ore 16:00 – gli azzurri scendono in campo con un solo imperativo: “vincere”; ma a scendere in campo è solo la Slovacchia. L’ennesima variazione di Lippi nelle scelte dei giocatori, con Gattuso a centrocampo, Montolivo fuori posizione e tridente composto da Di Natale, Iaquinta e Pepe, è anche l’ennesima delusione: i nostri non costruiscono nulla, si affidano ai lanci lunghi, non saltano mai l’uomo e subiscono al contrario il gioco degli slovacchi che doveva essere quello loro; e così, come anche giusto che fosse, al 24′, su errore grossolano di De Rossi che consegna la palla agli avversari, Vittek si trova nel corridoio giusto e deve solo aspettare il pallone per infilare lentamente Marchetti all’angolino. E’ una scena già vista, in questi giorni: basta attendere la reazione azzurra per trovare un minimo di speranza. Stavolta, però, non succede nulla, e Lippi si vede costretto a cambiare le carte nella ripresa: Maggio e Quagliarella per Criscito e Gattuso, e Pirlo per un Montolivo spento, forse proprio per la posizione più arretrata del solito. Il risultato, tuttavia, è lo stesso: niente di efficace; nemmeno Di Natale da lontano riesce a fare la differenza.
Il tempo intanto scorre, fortunatamente il risultato di Nuova Zelanda e Paraguay (0-0) è a nostro vantaggio, ma al 73′ il nostro già deludente Mondiale ci crolla addosso: Vittek troneggia di fronte a Chiellini raccogliendo un suggerimento di Hamsik e insaccando a distanza ravvicinatissima dalla porta. Sembra veramente tutto finito, ma l’Italia non ci sta a lasciare il Sudafrica con ancora 17 minuti a disposizione e il rigurgito d’orgoglio permette finalmente ai nostri di iniziare ad ingranare. I palloni girano, gli esterni si fanno vedere, l’attenzione aumenta: se fosse una canzone di Ligabue, sarebbe “Tutti vogliono viaggiare in prima”. E in effetti, purché in maniera più macchinosa che rapida, i nostri arrivano alla conclusione più spesso, e ritrovano fiducia: dopo un tiro di Quagliarella respinto miracolsamente sulla linea di porta, all’80′ Di Natale raccoglie un tiro dello stesso Quagliarella smanacciato da Mucha e ribatte in rete; lo stesso portiere slovacco, poi, deciderà di aumentare un po’ la tensione (e il recupero) rimanendo seduto con il pallone nella propria porta, ma questo non basta a smorzare l’animo dell’Italia.
I minuti sono sempre di meno, ma adesso sono gli azzurri a comandare, a farsi vedere sempre in avanti; l’urlo di gioia rimane strozzato in gola quando ancora Quagliarella mette la palla in rete, ma in fuorigioco. L’unico ripiegamento in difesa causato da una rimessa laterale gratuita regalata agli avversari da Chiellini rigetta poi tutti nello sconforto: Kopunec parte dalla trequarti, buca la nostra difesa e con un pallonetto supera Marchetti, siglando il terzo goal. E’ il 90′: non c’è più niente da fare. O forse sì. Come nel cambio di scena di un film thriller, il coltello, o forse la pistola, si ritrova in mano alle vittime, e Quagliarella lo utilizza nel migliore dei modi sparando un pallone soft, un vero e proprio lob, verso Mucha, che da dentro la porta stavolta si fa trovare un po’ troppo fuori. E’ goal!
Tutta Italia torna incredibilmente a sperare. I ragazzi sanno che basterebbe un altro solo goal per superare la Nuova Zelanda in classifica e qualificarsi. Gli azzurri sanno che si può andare avanti. E allora ecco che il destino pone di fronte ai nostri la prova del 9, l’occasione autentica per dimostrare di essere campioni del mondo: siamo al 97′, e ci ritroviamo all’inizio della storia, c’è un fallo laterale a nostro favore. Chiellini lancia lungo. Qualcuno spizza in area. L’arbitro sta per fischiare. La palla arriva a Pepe…e l’indecisione costa cara.
Ci ritroviamo a centrocampo. Gli occhi di Cannavaro vogliono nascondere le lacrime. Qualcun altro, invece, no: Fabio Quagliarella si lascia andare e chino su se stesso ingoia la delusione che prende il posto del suo più grande sogno; un tiro sulla linea, un goal annullato, una perla tirata fuori all’ultimo che sembrava voler significare la rinascita dell’Italia: se fosse una canzone di Ligabue, sarebbe “Piccola stella senza cielo”.
E allora fischia, Webb. Fischia l’ingloriosa fine dei campioni del mondo che torneranno a casa con molte storie da raccontare. No, non ci aspettavamo che Napolitano il giorno dopo convocasse Marchisio al Quirinale, come ha fatto Sarkozy in Francia con Domenech, ma che i pezzi grossi come Cannavaro e Gattuso, fra l’altro al termine della loro storia azzurra, potessero fornire qualche spiegazione agli italiani: perché non c’era convinzione, perché non c’era forza. Perché non siamo più campioni del mondo.
Ma adesso non c’è neanche il tempo per recriminare, bisogna solo aspettare l’evolversi naturale delle cose, e capire quale sarà il futuro. Intanto, a Johannesburg, regna di nuovo il silenzio, e lo spettacolo mai iniziato vede finalmente chiudersi il sipario invisibile. Le fiamme non ardono, le luci si spengono. Se fosse una canzone di Ligabue, sarebbe “Buonanotte all’Italia”.

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