Esclusiva-Zaccheroni: “Conte? Se non vai alla Juve, l’Inter è il meglio”

In quella che è stata forse l’ultima “epoca d’oro” del calcio italiano, gli anni ’90, pochi allenatori hanno ricoperto un ruolo rivoluzionario ed emblematico come Alberto Zaccheroni. Precursore di una difesa a tre che, ancora oggi, spopola in molti club del nostro paese, il tecnico dopo una gavetta infinita, ha incantato tutti prima con la sua Udinese e poi con il Milan, togliendosi negli anni anche la soddisfazione di passare pure per le panchine di Inter e Juventus. Pochi anni fa inoltre ha fatto un’altra scelta “rivoluzionaria” quella di accettare la panchina del Giappone con cui si è aggiudicato anche la Coppa d’Asia. Noi di Soccermagazine.it abbiamo contattato in esclusiva Alberto Zaccheroni per parlare con lui della sua carriera e del presente dei top club italiani.

Zaccheroni
Zaccheroni

Qual è il ricordo più bello della Sua carriera?

Sono sempre molto curioso. La costante della mia carriera è sempre stata quella di mettersi in discussione con esperienze nuove e forse quella del Giappone è stata la più particolare. Nel calcio è difficile fare scelte del genere, perché ognuna di esse ha sempre risvolti positivi e negativi. In Asia ho avuto un’esperienza fantastica sotto tanti punti di vista. All’Udinese ho passato anni bellissimi e, per me, sia il gioco espresso che la valorizzazione di tutto l’organico sono un mio orgoglio. Anche l’ “impresa”, calcistica, con il Cosenza, partiti da una pesante penalizzazione e con 13 punti dopo la metà di gennaio, è qualcosa che ricordo con grandissimo piacere e soddisfazione. C’era da tener vivo un filo di speranza che non c’era più, ma ci siamo riusciti. In generale però io sono sempre subentrato, a parte qualche caso, e ho raggiunto sempre l’obiettivo minimo richiestomi dalla società. Un discorso che vale anche per Milan, Inter e Juventus.

Parliamo poche ore dopo la vittoria del Chelsea in Europa League, con Sarri primo allenatore a vincere la competizione da quando ha cambiato nome. Zaccheroni è il primo e unico allenatore italiano a vincere un trofeo internazionale allenando una selezione nazionale straniera (La Coppa d’Asia con il Giappone). Avete questo punto in comune, così come l’aver fatto tanta gavetta prima di arrivare a grandi livelli…

Nei miei esordi sono passato dall’Interregionale e la C2. A Venezia ho vinto la C1 dopo 24 anni che mancava la B e poi sono andato a Udine. Ieri sentivo parlare dell’Atalanta dopo l’impresa di Bagnoli, ma credo che la mia Udinese che arrivò terza meriti di essere menzionato tra le provinciali che hanno fatto la storia. Io mi sono fermato, da calciatore, a 17 anni per un problema ai polmoni, dopo aver fatto le giovanili del Bologna. Siamo pochi, anche attualmente, i tecnici che non hanno giocato tra i professionisti. E io e Maurizio abbiamo senza dubbio questo punto in comune. Quindi similitudini ce ne sono, in particolar modo in questa gavetta infinita che abbiamo fatto entrambi.

Un’altra potrebbe diventare quella della panchina della Juventus. Come lo vede Sarri in bianconero?

Lo vedo molto bene. Sarri per la capacità di saper lavorare che ha dimostrato lo vedo praticamente ovunque. Lui, Conte, Allegri e Ancelotti sono gli allenatori italiani che più hanno dimostrato negli ultimi tempi. Poi è chiaro che ognuno sceglie i propri percorsi anche perché parliamo di profili molto diversi tra loro. Però ognuno di loro ha dimostrato di saper gestire una squadra a 360°. Parliamo dei tecnici top del nostro paese che, secondo me, nel mondo hanno dimostrato tanto. Ma così come loro tutti i tecnici italiani, senza togliere nulla ai tecnici stranieri, hanno sempre dimostrato di essere dei vincenti anche all’estero. Difficile trovarne uno che non abbia vinto, pur essendo arrivati per “ultimi” in questo senso. Il campionato di Serie A per tantissimi anni è stato il più importante e il più guardato quindi gli allenatori del nostro paese, fino alla crisi del 2005, volevano rimanere nel nostro campionato. Dopo, complice anche il sorpasso della Premier, abbiamo iniziato ad andare fuori. Ma la lista di allenatori che hanno vinto all’estero è lunghissima e questo non può essere un caso.

Lei citava anche Conte, nuovo allenatore dell’Inter, altra Sua ex squadra. Cosa dovrà dare l’Inter a Conte per permettergli di vincere?

Deve poter scegliere lui. L’Inter deve mettere a disposizione i capitali che ha per accontentare il tecnico. Io sono stato in Cina e so quanto sia importante Suning. È un vero e proprio colosso quindi le risorse non mancano di sicuro, anche se chiaramente bisogna vedere anche la questione UEFA e dei vincoli economici. Ma credo che il gruppo non abbia preso l’Inter per fare delle chiacchiere ma fatti, anzi cercano di apparire il meno possibile, questo fa capire la serietà del progetto. Io credo che l’Inter attualmente sia la società più pronta a competere con la Juventus, senza nulla togliere al Napoli che è più attento ai bilanci così come Roma e Milan.  L’Inter ha più liquidità da mettere sul mercato e inoltre la squadra non è da rivoluzionare. Migliorare individualmente quei giocatori è difficile, magari può servire qualche caratteristica diversa visto che è una squadra molto fisica e forse serve qualcosa sul piano dell’imprevedibilità e sul piano della costruzione. Ma meglio di lì, se non vai alla Juventus, non puoi andare da nessuna parte se vuoi provare a vincere.

E il Milan?

Credo che tornerà pure ad investire non appena avrà sistemato un po’ i conti e tornerà grande.

Il giocatore più forte che ha allenato?

Potenzialmente l’ho detto tante volte per quello che ha fatto con me in quei mesi che l’ho avuto senza dubbio Adriano. Poi dopo ci sono altri giocatori di grandissimo talento che però ho avuto praticamente a fine carriera. Ho il rammarico ad esempio di aver avuto sia Leonardo che Weah quando ormai avevano già dato tanto. Shevchenko poi era una macchina da gol, veramente inimitabile. Lo stesso Bierhoff seppur con caratteristiche diverse era un giocatore che se sfruttato bene poteva diventare immarcabile. Ha vinto la classifica capocannoniere davanti al miglior Ronaldo dell’Inter.

Lei ha sempre cercato di valorizzare i suoi calciatore e trarre da loro il massimo. In questo senso ha qualche rimpianto?

Sicuramente un rimpianto per me è quello di non aver fatto rendere al massimo Pippo Pancaro quando lo avevo alla Lazio. Non rimprovero il ragazzo ma rimprovero piuttosto me stesso perché quando andò al Milan fu uno spettacolo e forse io non fui capace di trovare la giusta chiave per dargli le motivazioni migliori. Poi pensando ai calciatori di Udine molti hanno fatto benissimo, siamo riusciti a valorizzare l’intera rosa in quegli anni e mi sono ritrovato Helveg e Bierhoff pronti e maturi al Milan, per quanto avessero già trovato l’accordo prima, quando c’era Capello. L’unico per cui mi dispiace è Gargo. Eravamo riusciti a mettere in mostra anche lui ed era tutto pronto ormai per il suo passaggio al Milan. Andammo a giocare a Marassi, lui aveva l’indomani l’incontro coi vertici rossoneri, e proprio in quella partita si ruppe il crociato facendo saltare la trattativa. Un vero peccato per il ragazzo.

La Sua carriera è ricca anche di esperienze più “esotiche”…

Tieni presente che io sono l’unico che non ha mai avuto un agente. Sono sempre andato dove non solo mi hanno chiamato ma mi hanno proposto una sfida interessante. Quindi ho fatto azzardato sempre, per ciò che mi sembrava intrigante. Io sono andato in Asia e qualcuno può pensare che ho scelto il Giappone perché non trovavo squadra in Italia. Non è così. Ho fatto questa scelta pochi mesi dopo aver lasciato la Juventus e quando passi dai bianconeri le offerte ce l’hai. Però avevo curiosità perché ho capito c’era voglia di crescita e quindi ho passato diversi anni lì. Mi piace fare queste esperienze nuove, ero intrigato da realtà che non conoscevo. Non ho mai guardato l’aspetto economico nella mia carriera, ma a quanto potesse intrigarmi la sfida.

C’è qualcosa che, tornando indietro, farebbe diversamente, sia come scelte che tatticamente?

Non sono solito guardarmi indietro e ho sempre cercato di essere innovativo in un ambiente dove la cosa nuova è sempre vista male. Adesso le cose però stanno cambiando, vedi i vari Gasperini o De Zerbi che sperimentano cose nuove. Anche Conte è uno che prova sempre di modificare le cose e può far bene. Credo che chi fa l’allenatore deve fare qualcosa di diverso dagli altri se vuole riuscire a distinguersi dalla massa. Bisogna proporre nuove idee di gioco. La squadra la devi sempre costruire sugli uomini che hai, quindi è anche inevitabile dover pensare qualcosa di nuovo.

Noi siamo stati fermi per tanto tempo, omologandoci al sistema di gioco di chi vinceva. Ma di sistemi di gioco vincenti ce ne sono tanti, bisogna vedere i giocatori che hai. Il nuovo spaventa sempre, anche i calciatori. Quando allenavo in Italia alcuni giocatori mi rispondevano: “non lo fa nessuno, non si può fare”. Ed io chiedevo di proporre ugualmente. Quando ero a Bologna provai la zona senza fuorigioco che era una cosa che non faceva nessuno.

Anche la famosa difesa a 3 “alla Zaccheroni” l’ha lanciata Lei…

Sì, quella di adesso è un po’ più simile alla mia, ma all’inizio quando cercavano di copiarla era tutt’altra roba. Era in pratica una difesa a 5 la loro. Qualcuno diceva che a me piace difendere a 3. Non è così, non sono stupido, è ovvio che se difendi in 11 subisci meno gol. Ma devi anche segnare. Se voglio vincere le partite devo mettere gli attaccanti nelle condizioni di fare gol. Ho sempre costruito le mie squadre, tenendo il centrocampo come il reparto cardine di tutta la squadra, cercando di utilizzare tre attaccanti che potessi far segnare tanto. È chiaro che devi avere anche i giocatori giusti. Se devono abbassarsi di 40-50 metri però o sono dei campioni o il gol non te lo fanno.

A me la tattica aiuta molto anche nello sviluppo del gioco e nella fase difensiva, però il gol serve. Io ho sempre costruito le squadre non sulla difesa a tre ma sui tre attaccanti.L’unico sistema ancora oggi per avere equilibrio con tre punti prevede quattro centrocampisti, ergo per esclusione usi la difesa a tre. Molti tecnici italiani presero il modello della mia Udinese, convinti che noi difendessimo in cinque ma io mi arrabbiavo moltissimo quando vedevo una linea difensiva a cinque. Io chiedevo ai miei di difendere la porta e l’area non la fascia. Convincere i calciatori a far certe cose non era semplice, così come a farle capire ai dirigenti che spesso mi chiamavano arrabbiati per le mie idee tattiche. Ma spesso non veniva capito questo passaggio, di un 3-4-3 che non diventava mai a difesa a 5.

I TESTI E I CONTENUTI PRESENTI SU SOCCERMAGAZINE.IT POSSONO ESSERE RIPORTATI SU ALTRI SITI SOLO PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE. OGNI VIOLAZIONE VERRÀ PUNITA.

Per rimanere aggiornati sulle nostre altre esclusive, vi consigliamo di seguire la pagina fan di Soccermagazine su Facebook.

Su questo sito utilizziamo strumenti nostri o di terze parti che memorizzano piccoli file (cookie) sul tuo dispositivo. I cookie sono normalmente usati per permettere al sito di funzionare correttamente (cookie tecnici), per generare statistiche di uso/navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare opportunamente i nostri servizi/prodotti (cookie di profilazione). Possiamo usare direttamente i cookie tecnici, ma hai il diritto di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti ad offrirti una esperienza migliore con noi. Cookie policy