Arsenal: è tempo di risorgere

Un portiere che salva le situazioni complicate, una difesa che non fa passare nessuno, un centrocampo che controlla il gioco, un attacco prolifico: questa è la ricetta perfetta per fare una squadra. Di questi elementi, al momento attuale, l’Arsenal non ne ha nemmeno uno. L’estate dei Gunners può definirsi catastrofica, cominciata con i malumori di Fabregas e Nasri e finita con la sconfitta più netta della sua storia, l’8 a 2 di domenica scorsa incassato dal Manchester United. E il tutto fa arrivare alla deduzione precendente: l’Arsenal non è più ai livelli di pochi anni fa.

Fonte immagine: toksuede (Flickr)

Se si devono cercare dei colpevoli, probabilmente non se ne troveranno, perchè in questa storia in continua evoluzione, al momento attuale, nessuno può essere imputato come responsabile del calo dei londinesi. Un momento possibile per l’inizio di questa rapida discesa, che era già in corso ma molto più attenuata, si può trovare nell’estate 2010: l’Arsenal chiude il suo rapporto travagliato con Gallas e lo cede al Tottenham. La questione non riguarda tanto il passaggio del francese agli acerrimi rivali cittadini, ma quanto l’inizio di uno smantellamento pesante di una squadra che già iniziava a dare qualche amarezza ai propri tifosi, per un’unità dello spogliatoio che cominciava a mancare. Smantellamento cominciato proprio da uno dei ruoli più fragili, il reparto arretrato.

 

In quella stagione lasciano anche Silvestre e Senderos, per reparto arretrato che perdeva sempre più fisicità e si arricchiva di ragazzi con ancora poca esperienza per essere definiti “padroni della difesa”. E alle loro spalle agiva Almunia, che più giocava, più dava l’impressione di aver subito uno scambio di persona, dato che sembrava sempre meno il giovane di belle speranze che faceva da secondo a Lehmann. Il centrocampo era ancora nelle mani di Fabregas, ma dietro di lui non c’era molta scelta, soprattutto dato il grave infortunio di Rosicky. La folta trequarti non mancava di spunti interessanti, con Nasri, Arshavin e Walcott a rifornire Van Persie, unico attaccante di spessore in un reparto pieno di mediocrità.

Con il nuovo anno c’è stato un pesante passo indietro. La cessione dei due gioielli ha fruttato un bel pò a Wenger, che invece di prendere un grande nome per rialzare il livello della squadra, ha optato per un gruppo di piedi buoni, che non può sperare risollevino da subito le sorti dei Gunners. Negli ultimi due giorni di mercato all’Arsenal sono arrivati per la difesa Mertesacker (Werder Brema) e Andrè Santos (Fenerbache), a centrocampo Arteta (Everton) e Benayoun (Chelsea), in attacco Park Chu-Young (Monaco), che si sono sommati agli arrivi della punta Gervinho (Lille) e dei giovani Chamberlain (Southampton) e Campbell (Saprissa), girato però in prestito al Loirent. Oltre a Fabregas e Nasri hanno lasciato i Gunners anche Clichy (Manchester City) e Ebouè (Galatasaray), che hanno ulteriormente indebolito la difesa.

In questi anni la grande forza dell’Arsenal è stato il gruppo di giovani che ogni anno Wenger decide di portare con sè in Premier League, e per quest’anno sono loro a rappresentare la speranza per i tifosi dei Gunners. Su tutti spunta Ryo Miyaichi, talentuoso trequartista giapponese acquistato a gennaio ma parcheggiato al Feyenoord, nel quale ha fatto giusto in tempo per farsi carico di un soprannome che richiama uno dei più amati in quel ruolo, Ryodinho. A lui si aggiungono Frimpong, roccioso centrocampista centrale che si è già guadagnato il paragone con Vieira, e Szczesny, il portiere che deve far dimenticare le papere di Almunia, che per ora fa solo intrecciare le lingue di chi cerca di pronunciarne il cognome.

Con una classifica che langue (1 punto e 2 goal in 3 partite di campionato) e un girone di Champions League tra i più tosti (Marsiglia, Olympiacos e Borussia Dortmund), l’Arsenal deve cominciare a rimboccarsi le maniche e a lavorare con i nuovi, per ritrovare quello spirito che non si vede da almeno 5 anni, quando i Gunners riuscirono ad arrivare alla finale di Champions League.

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