Napoli: Campagnaro pronto per la nazionale…ma quale?

Hugo Campagnaro, difensore classe ’80 originario di Córdoba, è forse l’elemento più importante della retroguardia del Napoli. Da un anno a questa parte, infatti, il giocatore argentino ha fornito a Mazzarri una sfilza di prestazioni assai convincenti, che in più di un’occasione hanno caratterizzato le partite dei partenopei, sia in campionato sia in Europa. Ora, è giunto il momento che l’ex Sampdoria possa mirare ad un salto di qualità, nonostante l’età non più verde. Come caldeggiato anche dai media e dai tifosi, Campagnaro merita la nazionale…già, ma quale?

Fonte immagine: Danilo Rossetti
Di origini italiane, dal 2002 Campagnaro possiede anche il passaporto del nostro Paese. Tuttavia, il difensore è dichiaratamente argentino, tanto che durante ogni festività lo si è visto spesso a bighellonare con Lavezzi dalle parti di Santa Fe tra cenette a base di asado, come si suol fare in Sudamerica. Qual è allora il sentimento di Campagnaro? Possibile che possa preferire l’Italia all’Argentina?
Invero, verso la fine del 2008 c’era già stato un interessamento di Lippi verso il difensore del Napoli, ma un infortunio subito all’ultimo momento da quest’ultimo ne impedì l’utilizzo nelle qualificazioni a Sudafrica 2010. In seguito, il nome di Campagnaro cominciò ad essere pronunciato con più insistenza a Coverciano in prossimità dei Mondiali, ma alla fine non se ne fece più niente. Interpellato però sulla questione, il giocatore non negò di aver sempre sperato nell’albiceleste, credendo inoltre che essendo andato a Napoli, terra di Maradona, quest’ultimo, allora ct della Selección, avrebbe potuto adocchiarlo ancora più facilmente. Lo stesso Campagnaro, tuttavia, affermò che non avrebbe avuto problemi a giocare per l’Italia, pur di disputare un’edizione della Coppa del mondo.
L’eventuale convocazione di Campagnaro in azzurro rischierebbe di riaccendere l’atavica questione degli oriundi già ripresentatasi a Febbraio per Thiago Motta. Tecnicamente parlando, articolo 18 dello Statuto della Federazione Internazionale alla mano, l’Italia potrebbe infatti contemplare tranquillamente, nella propria rosa, una schiera di cosiddetti oriundi in quantità anche pari al totale della squadra. Se ne desume che il rischio di sprofondare in una squisita anti-eticità di forma sia alla fin fine prescindibile esclusivamente dalla discrezione di una singola figura: il ct.
In seguito all’ultimo caso di convocazione di un giocatore non prettamente italiano, Thiago Motta appunto (quarto oriundo a vestire la maglia azzurra nell’arco di 7 anni), sul web è sorta una vera e propria querelle, invero già leggibile tra le righe quando la suddetta elezione era nell’aria, che fornendo anche interessanti argomentazioni analitiche, ha messo il punto sul significato di “nazionale” propriamente detta.
Quello che si potrebbe definire una sorta di leitmotiv per compagini come la Germania, ormai avvezza a considerare soprattutto calciatori non esattamente teutonici tra le sue fila, viene vista in Italia come una scusante per mascherare la precarietà qualitativa del nostro calcio, un pretesto volto ad autorizzare i diretti competenti a poter agire come meglio credono pur di portare avanti, presumibilmente al meglio, la baracca. Una nazione spinta da un forte senso patriottico come lo Stivale, tuttavia, avrebbe prestato già sin troppo il fianco a questo gioco, e gli italiani si sentono in dovere di dire finalmente la loro sull’argomento.
Anche da un punto di vista semantico, il termine “nazionale” dovrebbe rispecchiare quello di “nazione”: tuttavia, il fatto che una nazionale non annoveri esclusivamente elementi del proprio Paese, o meglio, che una nazione non consideri solo i propri figli per essere rappresentata nel mondo, fa perdere inevitabilmente di valore alla prima definizione; nel caso dello sport e dunque del calcio, tra l’altro, il tutto vede affievolirsi quella che fino a poco tempo fa era una marcata demarcazione concettuale fra squadre di club e squadre di nazionali. Gli incontri fra queste ultime sono sempre stati infatti animati da un altro tipo di spirito, uno spirito di indentificazione ed immedesimazione che non si poteva far altro che sentire proprio. In sostanza, se come prevede il regolamento le nazionali possono essere esattamente composte come delle qualsiasi squadre di club, la differenza fra nazionali e club stessi diventa a questo punto solo di stampo economico-organizzativo.
Nella fattispecie, il caso “Campagnaro”, così come quelli “Thiago Motta” e “Amauri”, risveglierebbe nei tifosi nostrani anche un rigurgito d’orgoglio: non sarebbe infatti la prima volta che un giocatore che milita in una squadra italiana, curiosamente dopo non essere mai stato preso in considerazione dalla nazionale del Paese d’origine, cominci a millantare amore e riverenza nei confronti dei luoghi in cui ha trovato fortuna; i nostri stessi connazionali, sapendo che l’Italia sia una delle compagini più quotate al mondo, non accetterebbero inoltre che proprio noi dobbiamo ridurci a questi espedienti per ottenere una squadra giustamente competitiva e tenere in alto un onore che viene man mano meno. La storia, d’altronde, dà ragione alla voce del popolo.
Campagnaro ha sempre potuto giocare per l’Italia, ma ha sempre visto di buon grado il proprio accostamento all’Argentina, non nascondendo qualche speranza in tal senso, senza mai rivendicare dunque, al contrario di quanto abbiano fatto altri personaggi come Giuseppe Rossi e Balotelli, spesso avvicinati ad altre nazionali, di voler vestire solo la maglia azzurra.
Insomma, il sistema del ripiego sugli oriundi, che scavalca il programma di risollevamento del calcio italiano di cui si è tanto parlato soprattutto dopo il tracollo sudafricano, non viene assolutamente digerito da una popolazione come la nostra. Sarà per mentalità, sarà per tradizione, sarà per amor proprio, ma in Italia, quando si parla di nazionale, “qualità” deve far rima con “identità”.

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