Il medico della Nazionale Castellacci: «Gli infortuni? Colpa dei ritmi di lavoro sbagliati»
Se c’è una cosa di cui i tifosi italiani si lamentano sempre più spesso – messi da parte i moduli sbagliati, lo scarso rendimento di alcuni giocatori e il mercato non all’altezza della situazione – sono gli infortuni dei loro beniamini. Negli anni scorsi le infermerie di alcune squadre di Serie A (Juventus su tutte) si sono trasformate in ospedali da campo, neanche fosse in corso un terzo conflitto mondiale.
Nella passata stagione, secondo un’indagine compiuta da Adnkronos Salute che ha coinvolto dieci società della massima serie (Bari, Brescia, Cagliari, Catania, Cesena, Chievo, Fiorentina, Lazio, Lecce e Napoli), gli infortuni dei calciatori sono stati la bellezza di 607: per il 55% dei casi si è trattato di guai muscolari, ma non mancano le classiche lesioni ai crociati e tanto mal di schiena per tutti (vedi il numero uno della Nazionale Buffon), che costringono mediamente le società a 100 ecografie mensili. E ancora: oltre 150 infortuni, circa il 25%, comportano almeno un mese di stop.
Ma a cosa è dovuto il proliferare degli stop forzati? Già un anno fa il professor Enrico Castellacci, medico della Nazionale italiana, aveva invitato i preparatori atletici a rispettare i tradizionali ritmi di lavoro a cui i muscoli dei giocatori devono essere sottoposti. Nessuno – piegato sempre più al business e al bisogno di incassare qualche milione di euro in giro per il mondo con tournée e apparizioni in qualsivoglia paese – sembra aver recepito il messaggio, che ora Castellacci torna a ribadire: «Una volta si facevano venti giorni di ritiro e poi si scendeva in campo. Oggi dopo2-3 giorni di lavoro sei già in tournée». Chissà se stavolta il suo monito sarà recepito. Castellacci non vorrebbe dover applicare quel vecchio adagio che dice: «Non c’è due senza tre».