Italia: i tifosi si ribellano a Thiago Motta in nazionale

Fonte immagine: Giovanni Marra Campanale
Amauri, Ledesma, Taddei, Zarate, Thiago Motta: cos’avranno mai in comune questi giocatori? Semplice: tutti possono vestire la maglia della medesima nazionale, quella italiana, benchè nessuno di loro abbia un legame strettamente viscerale con il nostro paese.
I nomi sopra citati sono solo alcuni tra i tanti che si potrebbero menzionare in questo contesto: c’è chi come Maxi Lopez e Campagnaro potrebbe allo stesso modo vantare un profondo sentimento azzurro per avvicinare l’attenzione finora poco proficua di Prandelli nei loro confronti, approdando così eventualmente a prestigiosi palcoscenici internazionali. Tecnicamente parlando, articolo 18 dello Statuto della Federazione Internazionale alla mano, l’Italia potrebbe dunque contemplare tranquillamente, nella propria rosa, una schiera di cosiddetti oriundi in quantità anche pari al totale della squadra. Se ne desume che il rischio di sprofondare in una squisita anti-eticità di forma sia alla fin fine prescindibile esclusivamente dalla discrezione di una singola figura: il ct.
In seguito all’ultimo caso di convocazione di un giocatore non prettamente italiano, quale Thiago Motta (quarto oriundo a vestire la maglia azzurra nell’arco di 7 anni), sul web è sorta una vera e propria querelle, invero già leggibile tra le righe quando la suddetta elezione era nell’aria, che fornendo anche interessanti argomentazioni analitiche, mette il punto sul significato di “nazionale” propriamente detta.
Quella che si potrebbe definire una sorta di leitmotiv per compagini come la Germania, ormai avvezza a considerare soprattutto calciatori non esattamente teutonici tra le sue fila, viene vista in Italia come una scusante per mascherare la precarietà qualitativa del nostro calcio, un pretesto volto ad autorizzare i diretti competenti a poter agire come meglio credono pur di portare avanti, presumibilmente al meglio, la baracca. Una nazione spinta da un forte senso patriottico come lo Stivale, tuttavia, avrebbe prestato già sin troppo il fianco a questo gioco, e gli italiani si sentono in dovere di dire finalmente la loro sull’argomento.
Anche da un punto di vista semantico, il termine “nazionale” dovrebbe rispecchiare quello di “nazione”: tuttavia, il fatto che una nazionale non annoveri esclusivamente elementi del proprio Paese, o meglio, che una nazione non consideri solo i propri figli per essere rappresentata nel mondo, fa perdere inevitabilmente di valore alla prima definizione; nel caso dello sport e dunque del calcio, tra l’altro, il tutto vede affievolirsi quella che fino a poco tempo fa era una marcata demarcazione concettuale fra squadre di club e squadre di nazionali. Gli incontri fra queste ultime sono sempre stati infatti animati da un altro tipo di spirito, uno spirito di indentificazione ed immedesimazione che non si poteva far altro che sentire proprio. In sostanza, se come prevede il regolamento le nazionali possono essere esattamente composte come delle qualsiasi squadre di club, la differenza fra nazionali e club stessi diventa a questo punto solo di stampo economico-organizzativo.
Nella fattispecie, il caso Thiago Motta risveglia nei tifosi nostrani anche un rigurgito d’orgoglio: non sarebbe infatti la prima volta che un giocatore che milita in una squadra italiana, curiosamente dopo non essere mai stato preso in considerazione dalla nazionale del Paese d’origine, cominci a millantare amore e riverenza nei confronti dei luoghi in cui ha trovato fortuna; i nostri stessi connazionali, sapendo che l’Italia sia una delle compagini più quotate al mondo, non accettano inoltre che proprio noi dobbiamo ridurci a questi espedienti per ottenere una squadra giustamente competitiva e tenere in alto un onore che viene man mano meno. La storia, d’altronde, dà ragione alla voce del popolo.
Thiago Motta è nato in Brasile da genitori italiani, ma ha sempre visto di buon grado il proprio utilizzo nelle rappresentative minori verdeoro, senza mai rivendicare, al contrario di quanto abbiano fatto altri personaggi come Giuseppe Rossi e Balotelli, spesso accostati ad altre nazionali, di voler vestire solo la maglia azzurra. Se vogliamo analizzare invece la situazione da un punto di vista più “romantico”, riferito al rapporto tra il calciatore in esame e la nazione che vorrebbe rappresentare, scopriamo inoltre che Thiago Motta non parli nemmeno perfettamente l’italiano.
Insomma, il sistema del ripiego sugli oriundi, che scavalca il programma di risollevamento del calcio italiano di cui si è tanto parlato soprattutto dopo il tracollo sudafricano, non viene assolutamente digerito da una popolazione come la nostra. Sarà per mentalità, sarà per tradizione, sarà per amor proprio, ma in Italia, quando si parla di nazionale, “qualità” deve far rima con “identità”.

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