Da Mourinho a Gasperini, l’annus horribilis dell’Inter
Per i tifosi dell’Inter il triplete è ormai un lontano ricordo. Seduto sulla panchina di San Siro c’era Josè Mourinho, uno capace di portare i nerazzurri nuovamente sul tetto d’Europa dopo quarantacinque anni, e di conquistare in un sol boccone pure Scudetto e Coppa Italia. L’alba del giorno dopo la sconfitta con il Trabzonspor, squadra turca approdata alla fase a gironi di Champions League grazie alla squalifica del Fenerbahçe, Gian Piero Gasperini è finito nell’occhio del ciclone. Ma la parabola discendente dell’Inter, che nel corto raggio mostra numeri da provinciale (con Gasp in panchina 10 partite, 5 sconfitte e 16 gol subiti. Un inizio così non si vedeva dal 1921), è cominciata quando lo “Special One” ha salutato la Pinetina per approdare a Madrid.
Agli occhi di un osservatore, prima che di un tifoso, appare chiaro come, andato via Mourinho, in casa Inter si sia dissolta anche la programmazione, necessaria, anzi fondamentale, per un club con una storia simile. Messo alla berlina un personaggio del calibro di Lele Oriali, con Benitez, la scorsa estate, c’è stato il tira e molla sul mercato: arriva questo, voglio quello, no ti compro chi costa meno perchè bisogna badare anche ai conti. Tutto giusto, ma Benitez ha chiesto rinforzi che non sono mai arrivati (lo ha ribadito anche di recente in un’intervista a La Gazzetta dello Sport), ha fatto quello che ha potuto vincedo due trofei in sei mesi – Supercoppa italiana e Mondiale per Club -, prima di sbottare e dire che la società non lo aveva trattato come lui credeva. Il resto lo conosciamo bene. Con Leonardo (e con i rinforzi a gennaio) le cose sembravano aver preso la direzione giusta, tanto da arrivare, a fine stagione, alla conquista della settima Coppa Italia della storia della società. I soldi non faranno la felicità, ma fanno girare il mercato: ecco allora che in estate arriva l’offerta faraonica degli emiri del Paris Saint-Germain, anche Leo saluta Appiano Gentile, e comincia – nuovamente – il toto allenatore. Arriva Ranieri, no Delio Rossi, anzi Capello, è fatta per Mihajlović.
Alla fine viene scelto un nome meno altisonante, quello di Gian Piero da Grugliasco, uno cresciuto nella Torino bianconera (ha allenato le giovanili), prima di approdare a Crotone e a Genova, sponda rossoblù. Via Eto’o, Sneijder è stata un’altra telenovela (venduto al City, poi allo United, infine rimasto ma con un ruolo ancora da definire negli schemi dell’allenatore), è arrivato Forlan ma più per placare gli animi preoccupati dei tifosi che per reale bisogno. Del pasticciaccio brutto combinato sulla questione dell’utilizzo dell’uruguaiano in Champions non ne parliamo, torniamo al discorso della scarsa programmazione. Già nel precampionato la squadra ha mostrato segni di cedimento: i numeri li abbiamo snocciolati prima, sono da squadra che lotta per la salvezza, ma certo è che messe da parte le amichevoli a bruciare sono le tre sconfitte nelle prime tre gare ufficiali, in una delle quali c’era anche un trofeo in palio. Anche l’Inter di Mancini e Mourinho faticò all’esordio in Europa, ma con Gasp sembra che sia la nave ad affondare. A Palermo si è vista un’Inter confusa. Colpa del modulo? “No“, verrebbe da rispondere, visto che ieri sera la squadra è scesa in campo con uno schema che conosce a memoria e non è arrivato neanche un misero punticino.
Con il fair play finanziario in fase di partenza (la squadra ha oltre 400 milioni di euro di debito), non ci sarebbe da stupirsi se nella prossima stagione Moratti lasciasse partire in un colpo solo Julio Cesar, Maicon e lo stesso Sneijder. Forse (forse) il miniciclo Inter si è chiuso. Gasperini è ormai un allenatore a tempo, potrebbe già saltare in caso di sconfitta con la Roma, sabato sera. I nomi dei sostituti sono sempre gli stessi, ma forse (forse) Moratti più che in panchina dovrebbe guardare nei suoi uffici. Il problema, per una volta, potrebbe essere seduto dietro ad una scrivania.