La diaspora di Busto Arsizio: quando lasciare il campo è troppo semplice

Con la diaspora di Boateng e del Milan dal campo del Pro Patria, si è voluto lanciare un segnale netto, chiaro, deciso, all’opinione pubblica. All’opinione pubblica non solo del calcio italiano, ma anche al popolo e alle coscienze dell’italiano medio, protagonista, come si è visto, di atti che – è anche noioso ripeterlo – definire incivili sarebbe riduttivo.

Boateng
Fonte: goatling

Eppure, anche se impeccabile, l’atto del Milan (e non di Boateng, attenzione) risulta altezzoso, sin troppo semplice da attuare, in un contesto esente da sanzioni, polemiche o ammissioni di colpa. In parole povere, farsi grandi con il Pro Patria è da ammirare nel valore del gesto, ma non nel contesto in cui lo si è manifestato. La diaspora va manifestata in ambiti ben più congrui – senza nulla togliere al Pro Patria -, dando al segnale una portata ben più “europea” (o se vogliamo “mondiale”, dato che di Milan si tratta).  Il razzismo – e il Milan ben lo sa – non è solo affar di provincia, ma anche di Milano, Roma, Spagna e Inghilterra. E se lasciare il campo è il segnale giusto, si trovi il coraggio di farlo in stadi ben più lussuosi, con più paganti e – ahimè – con insulti ancor più gravi. L’indignazione è da apprezzare se coerente nel gesto. E il Milan – come tanti altri team, sia chiaro – deve farsi carico di questa lotta al razzismo con più continuità. Perché il no al razzismo non accetta sporadicità. E in futuro, auspichiamoci pure una nuova diaspora: magari in quel del Camp Nou, ad opera – chissà – dello stesso Boateng. Fantascienza?

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