Roma, Garcia si racconta: “La passione nella vita è fondamentale e bisogna seguirla”

Rudi Garcia non ha vinto lo scudetto, ma ha ridato ai tifosi giallorossi la gioia di seguire la propria squadra. La Roma di questa stagione ha macinato record su record e le lacrime dei romanisti a fine partita non erano cariche di rabbia e di tristezza ma di felicità.

Rudi Garcia. Fonte: Riccardo Cotumaccio
Rudi Garcia. Fonte: Riccardo Cotumaccio

In un’intervista rilasciata a Repubblica, il tecnico francese si racconta. Ecco alcune sue dichiarazioni:

Lei ci ha creduto davvero a un possibile sorpasso o era un modo per tenere la squadra sulla corda?  “Ci ho creduto fino alla partita col Sassuolo, che ha pure giocato una partita bella e coraggiosa. I sorpassi che sembravano incredibili non li ho inventati io, sono nella storia del calcio. Ci resta la soddisfazione di aver tenuto sotto pressione fino a tre giornate dalla fine una Juve che viaggiava a ritmi-record”.

Catania, un brutto scivolone. “Abbiamo sbagliato tutti, io per primo. Vedremo di farne tesoro. La stagione resta molto positiva”.

Un altro avrebbe detto entusiasmante, oppure, aggettivo di gran moda, importante. Ma lei, Garcia, dà l’impressione di controllarsi molto, di essere un freddo.Dice? Credo di essere equilibrato, urlare per il gusto di urlare non serve a niente. In verità nemmeno io so cosa sono. Un francese con un nome tedesco e un cognome spagnolo. Un latino, con più sangue spagnolo che francese, forse anche sangue moro. Risulto nato a Nemours ma non ricordo nulla di quella cittadina. I ricordi riguardano Corbeil-Essonnes, la banlieue parigina, i primi calci al pallone, i primi amici, la casa al 13 di rue Marcel Crachin”.

Se lei dovesse spiegare il suo mestiere a una classe di bambini delle elementari, cosa direbbe? “Che vivo della mia passione, ed è un privilegio raro. Che la passione nella vita è fondamentale e bisogna seguirla”.

Ai giornalisti invece ha detto che un allenatore dev’essere un attore.Sì. Ci sono diversi piani di comunicazione, interna ed esterna. C’è il gruppo, la squadra, in cui includo medici, fisioterapisti, massaggiatori. Io amo i miei giocatori e li difendo. Sono il loro capo ma posso essere padre, fratello, avvocato difensore”.

Educatore no?In che senso?”.

Se uno dei suoi giocatori fa una c*****a, una connerie per dirla in francese, lei come si regola?Glielo dico, e anche bruscamente, e magari davanti a tutti i compagni, quando fa più male. È già successo. Ma non vado a raccontarlo ai giornali”.

Altre abitudini?Non entrare in competizione coi giocatori. Capirli. Metterli nella condizione di dare il massimo. Concentrarsi sui giocatori e isolarsi dall’ambiente. Dicono che ho fatto molto in fretta a capire la Roma. Ho deciso fin dall’inizio che non m’interessava il passato, per me conta solo il presente. Ho trovato un ottimo gruppo, siamo partiti bene, con segnali chiari: Francesco che cede il pallone a Osvaldo, Daniele che segna a Livorno e chiude il tormentone del va o resta, Federico che segna nel derby”.

Li ha sempre chiamati per nome, i giocatori, o è una novità romana?L’ho sempre fatto”.

Che cosa l’ha colpita di più, nel nostro calcio?L’utilizzo della difesa a 3, poco diffusa in Europa. Io ho sempre difeso a 4, su tutto il resto si può discutere. E una sola volta ho usato la marcatura a uomo, contro l’Ol: Keita su Juninho, l’ha cancellato”.

Lo rifarebbe?Non so. Si dice anche in italiano mai dire mai?”.

Sì. Che altro?Buffon e Pirlo. Che fossero due campioni lo sapevo già, ma mi ha colpito la loro classe umana, il loro comportamento da perfetti sportivi. Giocatori così fanno solo bene al calcio”.

Cosa fa male al calcio?Dare troppi soldi ai calciatori quando sono ancora molto giovani. È una cattiva abitudine assai diffusa”.

Amori calcistici?Il Nantes di Arribas e Suadeau, la Francia di Hidalgo ma anche quella di Jacquet e, da sempre, la squadra che sto allenando”.

Il gol più bello?Quello ottenuto con un tocco da tre metri dopo una serie di passaggi rasoterra. Ma è chiaro che se vedo un gol come quello di Miralem al Milan non vado a sgridarlo, e nemmeno se Francesco, Daniele o Kevin segnano con una botta da 25 metri. Un allenatore è felice quando si sublima, no sublima suona enfatico, diciamo esalta il collettivo”.

Nel libro lei dichiara: non sono mai contento di quello che ho. Non le sembra un’autocondanna all’infelicità?Proviamo a dirlo meglio: non sopporto l’idea di non poter migliorare”.

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