Schillaci si racconta… Ma non è Totò, è Maurizio, il cugino fantasista. Oggi è un barbone

Sul portale siciliainformazioni.com, è comparsa un’intervista particolare. Scritta come la poesia di un calcio antico, tratteggiata dalle pellicole sbiadite dei vecchi gol da cineteca, dal giornalista palermitano Alessandro Bisconti, l’intervista racconta la storia di una vecchia gloria del calcio anni ’80, una perla del Palermo, prima, e del Licata di Zeman, poi: Maurizio Schillaci, il cugino del più famoso Totò, l’eroe di Italia ’90.

Maurizio Schillaci nel Licata di Zeman Fonte: laziowiki.org Autore: Aquilareale
Maurizio Schillaci nel Licata di Zeman
Fonte: laziowiki.org Autore: Aquilareale

Tutti dicevano che ero più forte di lui. Può essere. Di sicuro io non ho avuto la sua fortuna, dice oggi amaramente Maurizio, con gli occhi pieni di rimpianto e malinconia, per una vita che gli ha dato tutto e poi, malignamente, gliel’ha tolto. Ero sul punto di esplodere. Poi sul più bello sono passato dalle stelle alle stalle. Le mie stagioni migliori le ho vissute in B con Zeman. Segnavo gol a ripetizione. Poi è arrivata la Lazio. Era il mio periodo di grazia. Vivevo nel lusso, ho cambiato 38 auto, ho giocato nello stadio dei sogni, l’Olimpico. Contratto di 500 milioni per 4 anni. poi qualcosa non va per il verso giusto. I primi infortuni, gli stop. Poi scopro perché. Vado in prestito a Messina, là trovo mio cugino Totò. Tutti i giornali parlavano di noi, io e lui facevamo a gara a chi segnava di più. Ma la mia carriera in realtà s’è spezzata a Roma. Un infortunio mai curato che mi impediva di esprimermi al meglio. Facevo poche partite e mi fermavo. Mi chiamavano il “malato immaginario” o il “calciatore misterioso”, perché ero sempre in infermeria. In realtà avevo un tendine bucato. A Messina si accorgono del problema, mi curano, ma la carriera era ormai volata via. Poi ho subito altre situazioni. Più brutte degli infortuni. Vado alla Juve Stabia, ormai ho 33 anni. E qui conosco la droga. La cocaina, poi l’eroina. Nel frattempo ho divorziato da mia moglie”. Una carriera rovinata, una vita scucita via dal suo vestito d’alta moda, e ricoperta di stracci e polvere.

Oggi Maurizio Schillaci è un senzatetto, un clochard, un barbone che vaga senza meta per le vie della Palermo povera,

cercando rifugio dove può:

Vucciria-Palermo Fonte: flickr.com Autore: kalamun
Vucciria-Palermo
Fonte: flickr.com Autore: kalamun

Il mio declino è stato velocissimo e ora mi ritrovo per strada. Come si vive? La prendo quasi a ridere, mi diverto, sdrammatizzo, cerco di farcela. Ma non riesco a trovare lavoro, dormo nei treni fermi alla stazione. Lo chiamano il cimitero dei treni. Ci sono altre persone con me, siamo un gruppo di 20 barboni. Passo le giornate pensando a racimolare qualcosa per mangiare e comprarmi le sigarette”.

Suo cugino, Totò, è diventato un eroe, è ancora riconosciuto, ammirato, osannato, a Palermo e nel resto d’Italia. Mentre lui, ha perso tutto: “Ero contento per lui. A me non cambiava nulla sinceramente. Con Totò non ci sentiamo più. Ho lavorato nella sua scuola calcio per un periodo, ma per “travagghiare” là spendevo 300 mila lire e guadagnavo la stessa cifra. Ho deciso di mollare. In realtà pago le conseguenze della droga. Sentivo sempre le stesse storie: ‘Non porto mio figlio a uno che s’è fatto di eroina’. Io però non mi drogo più. E la gente che giudica mi fa male, perché non conosce la mia storia. Stavo malissimo, la droga ti lascia il marchio. Ho perso tutti i contatti con il mondo del calcio. Quando giocavo erano tutti amici. Ora non c’è più nessuno. Ho toccato il fondo quando ho capito che la mia carriera stava per finire. Zeman? Ogni tanto lo intravedo. Lui mi adorava, quando stavo a posto. Mi volle portare a Foggia, avevo già firmato. Sarebbe stata la svolta della mia carriera. Adesso del calcio non me ne frega più niente”.

E come tutti quasi tutti, in quegli anni, Maurizio ha incontrato e dribblato, come poteva, i tranelli più scontati del calcio: “La droga è arrivata quando ormai ero un ex calciatore. Il doping? C’è stato sempre. Zeman è stato il primo a parlarne, poi non l’hanno fatto allenare per anni. A me consigliavano di prendere la creatina, mi sono fidato dei medici. Era proibita, ma l’ho saputo dopo. Soldi per aggiustare le partite? Solo una volta me li hanno proposti. Giocavo nel Licata, a Casarano, lo dissi subito a Zeman. Mi disse di rifiutare. Poi finì 0-0, prendemmo 8 pali… Ma a volte le partite si decidono in mezzo al campo, parlando…”. Ma a 51 anni Maurizio Schillaci sembra ancora avere una luce, una speranza, che si riflette dalle sue passioni a quelle dei tanti bimbi di Palermo, che si aggrappano alla speranza di un pallone, per cercare una via d’uscita, di riscatto: “L’eroina per me non esiste più. Ho toccato il fondo ma ora voglio risalire. Ogni tanto guardo i bambini giocare in mezzo alla strada. Li osservo e mi piacerebbe dare un calcio a quel pallone…”.

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