I big della storia: la miglior formazione della Lazio dal 2000 ad oggi

Stilare una top undici della Lazio dal 2000 ad oggi potrebbe sembrare, a primo impatto, compito sin troppo semplice. Difficile, infatti, immaginare un undici titolare diverso da quello che proprio ad inizio millennio incantava l’Italia e l’Europa inanellando in bacheca trofei nazionali ed internazionali. Quell’undici che piegò anche il Manchester United degli imbattibili nella finale di Supercoppa Europea guidato da quel Sir Alex Ferguson che ancora oggi ricorda quella Lazio come la squadra più forte del mondo in quegli anni. Per questo, la top undici biancoceleste che ha deciso di proporvi SoccerMagazine sarà un po’ diversa dal solito. Sarà un confronto tra quella squadra che fece sognare la Roma biancoceleste e tra chi arrivò dopo ma non avrebbe certo sfigurato in quell’undici titolare. In quel 4-4-2:

 

Fonte immagine: http://www.foto-calcio-napoli.it - Danilo Rossetti
Fonte immagine: http://www.foto-calcio-napoli.it – Danilo Rossetti
Se non ci fosse stato Luca Marchegiani tra i pali avrebbe trovato spazio Federico Marchetti. Troppo facile sarebbe stato, infatti, schierare Angelo Peruzzi che arrivò a Roma nella stagione immediatamente successiva a quella del tricolore. La maglia da titolare va al portiere di Bassano del Grappa perché dopo anni di Ballotta, Muslera e Carrizo è riuscito a rinvigorire la tradizione di numeri uno biancocelesti. Sicuro tra i pali, garanzia per la sua difesa, gli interventi di Marchetti in questo biennio biancoceleste sono stati decisivi tanto quanto i gol di Miro Klose. Non a caso con la maglia della Lazio sulle spalle, il portierone ha ritrovato anche la Nazionale.

 

Se non ci fosse stato Giuseppe Pancaro allora avrebbe giocato Massimo Oddo: arrivato a Roma in sordina sul calare delle sfavillanti stagioni cragnottiane, il terzino ha impiegato un po’ di tempo a convincere la tifoseria biancoceleste fino, però, a diventarne idolo ed a meritare la fascia di capitano.

 

Se non ci fosse stato Giuseppe Favalli allora il ruolo da terzino sinistro sarebbe spettato ad Aleksandar Kolarov: il serbo tutta corsa e dal sinistro al fulmicotone non avrebbe di certo sfigurato in quella Lazio tritasassi. Probabilmente avrebbe offerto minori garanzie in fase di copertura rispetto a Favalli, ma sicuramente sarebbe stato un’arma in più nello scacchiere biancoceleste.

 

Se non ci fosse stato Sinisa Mihajlovic al centro della difesa avrebbe agito Japp Stam: la fama e la classe del colosso olandese sono fuori discussione, senza bisogno di aggiungere altro.

 

Se non ci fosse stato Alessandro Nesta ad oggi i tifosi laziali non avrebbero tanti rimpianti. Indimenticato capitano di quella squadra, nato a Roma e da sempre tifoso laziale, ha lasciato una ferita mai rimarginata nei cuori dei tifosi biancocelesti quando, per esigenze di bilancio, lasciò la capitale con destinazione Milano. Giocatore di classe innata, vedere la facilità e la pulizia con cui sottraeva il pallone agli avversari valevano da soli il prezzo del biglietto. Lui che il derby lo viveva come forse solo pochi altri a Roma, soffriva esclusivamente la solita finta che Del Vecchio gli propinava ad ogni derby. Ma è un peccato che ogni tifoso biancoceleste gli perdona. Perché Alessandro Nesta è ad oggi il capitano che a Roma, tra Lazio e dirimpettai giallorossi, ha alzato al cielo il maggior numero di trofei.

 

A centrocampo, se non ci fosse stato Sergio Conceiçao a solcare la fascia destra allora avremmo avuto Antonio Candreva: arrivato a Roma l’ultimo giorno del mercato invernale dello scorso anno tra lo scetticismo generale nonché con la pesante etichetta di tifoso romanista, l’esterno destro ha pian piano convinto la piazza a suon di discese devastanti fatte di dribbling e cross. Prestazione dopo prestazione è diventato una pedina insostituibile nello scacchiere di Reja prima e Petkovic poi, nonché idolo indiscusso della Curva Nord.

 

In mediana se non ci fosse stato Matias Almeyda si potrebbe schierare Alvaro Gonzalez: l’uruguagio, dall’inizio della sua esperienza romana ad oggi, è passato da oggetto misterioso a giocatore fondamentale per gli equilibri del centrocampo biancoceleste. Insostituibile.

 

Se sull’out di sinistra non ci fosse stato Pavel Nedved avremmo probabilmente cambiato modulo. Il soldatino ceco è stato per anni l’idolo della tifoseria biancoceleste. Costante nel rendimento, le sue prestazioni fatte di corsa, sostanza, cross, dribbling e tanti gol lo hanno elevato a campione mondiale. Peccato che per la consacrazione finale, arrivata con la consegna del Pallone d’Oro, si sia dovuto aspettare il suo passaggio alla Juve.

 

In cabina di regia non possiamo che confermare Juan Sebastian Veron: vederlo giocare era semplicemente uno spettacolo. La naturalezza con la quale sfornava lanci millimetrici di sessanta metri è da poesia del calcio. Oggi solo Pirlo può essere paragonato alla Bruja.

 

Come centravanti, in sostituzione del Matador Marcelo Salas, non potrebbe che esserci lui, Hernan Crespo: di testa, di tacco, di destro o di sinistro. In acrobazia. L’importante era fargli arrivare il pallone. Poi, a trasformarlo in gol, ci pensava lui.

 

Infine, come numero dieci, se non ci fosse stato Roberto Mancini non ci sarebbero stati lo scudetto, le due Coppe Italia, la Supercoppa Italiana, la Supercoppa Europea e la Coppa delle Coppe. La classe del Mancio è indiscutibile ed ancor più indiscutibili sono il carisma e la leadership messe a disposizione di una squadra che, senza la guida del suo allenatore in campo, probabilmente avrebbe raggiunto molto meno di ciò che ha invece ottenuto. Anche l’uscita di scena dal calcio giocato è stata da grande campione. Un secondo dopo aver regalato alla Roma biancoceleste quello scudetto che mancava da ventisei anni.

 

Trovare un allenatore ideale per questa squadra è impresa ardua. Si potrebbe confermare Sven Goran Eriksson, oppure affidare la panchina a Delio Rossi, a Reja, a Mancini o perché no, allo stesso Petkovic. Fallire con una rosa di campioni del genere sarebbe stato complicato per chiunque. Anche perché un’ipotetica panchina sarebbe in grado di far impallidire qualsiasi altra compagine. Peruzzi, Lichtsteiner, Couto, Dias, Ledesma, Liverani, Stankovic, Fiore, Claudio Lopez, Boksic e via dicendo. La lista di campioni che, soprattutto ad inizio millennio, hanno vestito la maglia biancoceleste sarebbe interminabile. Lo sa bene anche Fabio Capello che di recente ha dichiarato quanto gli sarebbe piaciuto allenare la Lazio di inizio 2000.

 

Chi, volutamente, non è stato considerato in questo dream team è Miroslav Klose. Il bomber tedesco ha dimostrato in queste due stagioni biancocelesti, qualora ve ne fosse stato bisogno, tutta la sua classe e la sua mentalità vincente. Insomma, sta dimostrando di essere il campione che tutti conosciamo. Il suo nome è e resterà comunque indissolubilmente legato alla storia biancoceleste. Regalargli una maglia da titolare in questo top team sarebbe stato sin troppo facile. Ma il centravanti teutonico è amante delle sfide e sempre pronto a mettersi in discussione. Per questo, prima di consacrarlo definitivamente e consegnarlo alla gloria, preferiamo aspettare.
 
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